ABSTRACT
Arturo Martini: uno dei più importanti artisti del Novecento che concepisce l’arte oltre le teorie e gli stili, è in mostra al Museo Bailo di Treviso. Nella scultura ha voluto rivalorizzare la figura. Semplificarla accostandosi all’arte tipica dei primitivi. Ridarle volume lavorando su forme naturali e semplici.
Il figliol prodigo
La vita di Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947), il maggiore scultore italiano del 900, ha oscillato tra l’iniziale condizione economica estremamente precaria e il raggiungimento del successo in un secondo tempo. Anche se non manca la delusione provata, in alcuni casi, per il mancato riconoscimento del valore delle sue sculture figurative. Che sembrano superate dal cubismo e dall’astrazione delle avanguardie. Nel 1944 si sfoga con Gino Scarpa in merito al Figliol prodigo il grande bronzo del 1927: “è l’argomento più importante della mia vita [ed è stato] totalmente disprezzato”. Rivendicandone il pathos che “un greco non avrebbe potuto farlo”. Un pathos -che grazie all’anacronismo stilistico è fatto per durare e che l’artista stesso considerava inalterato nel tempo-. Ma poi il vento cambia con il ritorno all’ordine. Il movimento che negli anni Trenta rivaluta la tradizione riscoprendo i canoni dell’arte classica. Questa volta Martini si trova dalla parte giusta della barricata.
Lo scultore trevigiano ha affrontato il soggetto evangelico per sei volte in un arco temporale che inizia nel 1914 e termina alla fine degli anni Trenta. Soggetto che ora è visibile nella ricca retrospettiva che gli dedica il museo Bailo a Treviso: “Arturo Martini. I capolavori”. Entrando in mostra, dopo aver superato la coppia bronzea costituita dai Leoni di Monterosso, il Figliol prodigo si fa notare in fondo al corridoio per un particolare che Nico Stringa sottolinea nel suo intervento in catalogo: mentre il figlio ingobbito osserva intensamente il volto del padre, quest’ultimo, pur sorreggendogli il gomito sembra non vederlo. Guarda lontano. Martini esprime il dramma di un riconoscimento impossibile, per quanto atteso e auspicato da entrambi i protagonisti.
La mostra assembla 280 opere : 150 appartengono al Bailo. Allestite nel primo piano della sezione permanente. La sezione zero, come la definiscono i curatori. 130 sono arrivate a Treviso grazie alla mostra. La loro sistemazione ha occupato tutti gli spazi al piano terra.
Il legionario ferito
Al folto numero dei prestiti importanti, si aggiunge una scultura mai esposta prima. Quasi nascosta per ottant’anni nella casa museo di Vado Ligure dopo l’unica presenza alla Quadriennale di Roma del 1939. Si tratta del marmo Il legionario ferito realizzato nel 1938. Marmo dall’impatto monumentale, esprime un’evidente tensione nel personaggio seduto. Dovuto al gesto della fasciatura che si libera nello spazio mentre esprime vigore. La staticità della figura è superata dallo sguardo rivolto a destra e dal dinamismo delle braccia.
Le sezioni
L’ampia esposizione coinvolge cinque sezioni. La prima, –I grandi capolavori-, è strutturata in focus. La conformazione architettonica del museo ha permesso di riservare a ciascuna sala un determinato capolavoro. Come esempio si può citare lo spazio dedicato alla Donna che nuota sott’acqua del 1942. Dopo aver portato a termine la scultura, l’artista decide di tagliare la testa dal tronco. Perché? La scelta fornisce un’impressionante forza plastica all’opera. Rendendo la composizione equilibrata e compatta. Ma si potrebbe ipotizzare un altro motivo: la rimozione della testa dettata dalla voglia di confrontarsi con la statuaria classica e antica, le cui opere ci sono spesso pervenute acefale o mutile.
Un’altra sala importante è quella dedicata al confronto tra la Pisana e Donna al sole. Due nudi di donna armonici, dalle forme sensuali dove Martini realizza la sintesi fra arcaismo e classicismo che hanno riscontrato molta fortuna critica.
Non si può non accennare alla Veglia, una terracotta del 1932. Martini ha riprodotto una camera. Con la parete di sinistra immersa in un lungo tendaggio. Con quella di destra aperta da una finestra dentro la quale si protende, vista di spalle, una donna svestita. E’ affacciata, in attesa della persona che sta aspettando. Com’è stato scritto, “una scena sul tema dell’attesa, della mancanza, dell’assenza. E del desiderio”.
Nella seconda sezione, lo scultore si cimenta con le sculture di piccolo formato come le maioliche. Sono creazioni che permettono a Martini, vedi il Piccolo presepe in maiolica policroma, di sperimentare ogni materiale possibile.
Nella terza, Il ciclo di Blevio dal nome della cittadina sul lago di Como, ci sono creazioni che contrastano con quelle monumentali. Una fra tutte il Centometrista del 1935. Sembra che debba scattare da un momento all’altro. Invece è bloccato in un istante infinito.
La quarta sezione è dedicata a Martini pittore. Una quarantina di opere il cui stile richiama quello post-impressionista.
Nella quinta, “La maturità nei capolavori del Bailo”, spicca la Venere dei porti del 1932. Scultura di grandi dimensioni, alta 115 cm e interamente in terracotta refrattaria. C’è una donna nuda. In attesa. Annoiata. Le gambe che ciondolano non arrivano a terra. L’opera è stata modellata in modo diretto. Mantenendo imperfezioni e increspature.
Leggi anche
Giuseppe Penone. Gesti universali
MANTEGNA. ECCE HOMO
Caravaggio. Pittore dell’essere per la morte
Due suggerimenti per orientarsi fra le mostre da non perdere nel 2023.