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Ascanio Celestini racconta la “storia sbagliata” di Pasolini

Ascanio Celestini racconta Pasolini
Ascanio Celestini - Foto di Cosimo Trimboli

L’idroscalo di Ostia è uno di quei luoghi scoperti durante le scorribande da post adolescenti in erba, quando a vent’anni la curiosità brucia l’anima e le frequentazioni del momento tracciano la linea del proprio destino.

Dalla tragica  notte del  2 novembre del 1975 è diventato un luogo simbolico, una meta di pellegrinaggio, dove il tempo sembra essersi fermato e l’immaginario collettivo si perde nella memoria di una storia sbagliata per usare le parole con cui De Andrè ha provocatoriamente definito la vita e la morte di Pier Paolo Pasolini.

Mausoleo di Pasolini, Idroscalo di Ostia

È al Poeta, come ama più volte invocarlo Ascanio Celestini, che vengono dedicate due serate di tutto esaurito all’Auditorium Parco della Musica che sta ospitando alcuni eventi del Roma Europa Festival.

Auditorium
Auditorium Parco della Musica – Foto di Cosimo Trimboli

Prendendo spunto dal personaggio pasoliniano, Celestini porta alla memoria immagini oniriche di una Roma d’altri tempi. Il testo, scandito da un calendario fascista le cui date sono ripetute in maniera quasi ossessiva, si fa strada tra episodi storici realmente accaduti e racconti onirici di personaggi fantasiosi. Ci si perde nel flusso narrativo ininterrotto che da sempre caratterizza la cifra stilistica dell’autore, il quale, come in uno scatto felliniano evoca storie di circensi e ballerine, mignotte e santoni il cui collante è il punto di osservazione che Pasolini ha della società.

Ascanio Celestini ci guida come in un museo nella poetica pasoliniana tra ciò che è considerato illecito e ciò che è definito corretto dal senso di giustizia sociale. Cita tutta la sua immensa opera filmica e narrativa seguendo le innumerevoli contraddizioni che la caratterizzano e definendo la sua poesia incommestibile, in quanto eterna nell’uso ciclico di coloro che ne hanno provato a gustare gli ingredienti.

Sopra la personalità del Poeta e la sua tragica morte sono state scritte infinite pagine e fantasiose illazioni, ma Ascanio Celestini circondato da una scena minimale, usa la sua classica ironia con un pizzico di nostalgia romanesca, a volte un po’ forzata, per descrivere la figura dell’intellettuale il cui diverso destino è segnato sin dalla nascita.

Nel suo “Manifesto per un Nuovo Teatro”, nel 1968 Pier Paolo Pasolini così dichiara:

“Il teatro che vi aspettate, anche come totale novità, non potrà mai essere il teatro che vi aspettate”

Come Pasolini dunque decostruiva e ri-educava il suo pubblico ad una nuova morale, così Celestini semina conoscenza e consapevolezza politica e civile. È il valore della memoria che riaffiora attraverso il linguaggio teatrale, grazie alle emozioni che la prosa ha il potere di diffondere facendoci interrogare su quanto possa essere fondamentale costruire un senso civico collettivo.

Ascanio Celestini forte della sua professionalità narrante riesce a rapire l’attenzione del suo pubblico che si fa cullare come un bambino pronto ad ascoltare la sua favola preferita.

Ascanio
Ascanio Celestini – Foto di Cosimo Trimboli

Il Teatro civile oggi sembra vivere una battuta d’arresto in termini di attenzione pubblica, come ci ricorda Simone Nebbia dalle pagine di Teatro e Critica, ma personaggi del calibro di Dario Fo, Marco Paolini, Moni Ovadia, Davide Enia, solo per citare i più noti, hanno segnato la storia della narrativa teatrale contemporanea fino ad arrivare all’ultimo capolavoro collettivo dal titolo G8 Project ideato dal drammaturgo Andrea Porcheddu e prodotto dal Teatro Stabile di Genova per i 20 anni dai fatti di Piazza Alimonda.

Se, come affermava dunque Bertolt Brecht:

“La capacità di operare nella realtà politica è insita nell’attività teatrale”

Oggi più che mai il Teatro, attraverso le sue storie, ha il potere ed il dovere di recuperare quella necessaria prossimità umana dove la voce fa da cornice alla curiosità ed alla consapevolezza emotiva di chi è disposto ad ascoltare il racconto di eventi nei quali siamo tutti inevitabilmente coinvolti.

Roberto Cecchini

Roberto Cecchini

Classe 1983, quella che Raffaele Alberto Ventura definisce nel suo saggio una “classe disagiata” per la sua peculiare precarietà e necessità di adattamento sociale. Si laurea alla triennale al D.A.M.S dell’Università di Roma Tre specializzandosi con un master in “Management dello spettacolo dal Vivo” alla SdA Bocconi di Milano. Sostenitore delle parole di Paolo Grassi “La cultura è una cosa, l'organizzazione della cultura è un'altra”, non è il palcoscenico che gli interessa calcare, bensì conoscere e padroneggiare i segreti organizzativi che si nascondono dietro il sipario. Dopo varie esperienze come segretario di compagnia in tournée in giro per l’Italia approfondisce la propria formazione a livello internazionale sperimentando l’arte applicata al sociale tra i meninos das ruas di Salvador de Bahia in Brasile credendo fortemente nella vocazione di elevazione spirituale della Cultura e la sua missione di formazione civile.
Dopo aver lavorato per diversi anni nella segreteria organizzativa del Teatro Quirino ha avuto l’opportunità di abbracciare il progetto del rinnovato Teatro Parioli dove attualmente lavora. Ha approfittato del periodo di chiusura dei Teatri per studiare anche l’aspetto intellettuale dell’Arte frequentando un master in critica teatrale presso l’Accademia Silvio D’amico di Roma.

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