Ci sono luoghi a Roma dove la fede, la carità e l’assistenza hanno trovato dimora e ancora oggi raccontano una lunga storia, ricca di fascino e di testimonianze artistiche di alto valore.
Incastonata nel contesto del Foro Romano e ai piedi del Campidoglio, l’antica chiesa di S. Maria della Consolazione ha una particolarità: sorge sul luogo in cui, fino alla metà del Cinquecento, avvenivano le esecuzioni capitali.
Proprio in riferimento a tale usanza, sappiamo che nel 1385 un condannato a morte di nobili origini avrebbe lasciato 2 fiorini d’oro nel suo testamento, incaricando il proprio figlio di far eseguire un’immagine della Vergine nel suo ruolo di consolatrice dei condannati. I documenti ci forniscono anche il nome del protagonista della vicenda, un tal Giordanello degli Alberini.
Tale volontà trovò applicazione nell’effettiva collocazione di un’edicola mariana da addossare al muro esterno di un granaio, appartenente ad una delle più antiche e importanti famiglie romane, i Mattei.
La devozione popolare nei confronti delle numerose immagini della Vergine è un fenomeno caratterizzante il tessuto sociale romano nei secoli passati.
Negli antichi documenti si riportano spesso miracoli, come sventati omicidi, o risanamento da infermità e malattie, avvenuti proprio davanti alle edicole mariane
Anche alla Madonnina della Consolazione nel XV secolo fu abbinato un evento miracoloso.
Nel 1470 un uomo che era stato condannato a morte pur dichiarandosi innocente, durante l’impiccagione, avrebbe ricevuto un miracolo dalla Madonna di quel luogo che avrebbe sostenuto il suo corpo impedendone la morte per asfissia. Nel racconto dell’evento si precisa anche che la Madonna avrebbe parlato alla madre del condannato assicurandole la salvezza del figlio.
Allo stesso anno risale dunque la raccolta di fondi per la realizzazione di una chiesa dove custodire l’immagine miracolosa. Il progetto fu commissionato da Paolo II e finanziato dai Della Rovere.
Questo primo edificio fu realizzato da Baccio Pontelli e affidato alla Confraternita di S. Maria delle Grazie, istituto custode di un ospedale e chiesa nei dintorni.
In realtà le origini dell’ospedale sono da collocare alla fine del Trecento, anche se la struttura ospedaliera, nota come Arciospedale della Carità, risale al 1506 e risulta essere la fusione di tre diversi enti destinati alla cura e alla carità: Santa Maria della Carità, Santa Maria delle Grazie e Santa Maria del Portico.
La più antica era la chiesa e l’ospedale delle Grazie, la cui icona mariana anche dopo la demolizione del complesso, fu tratta in salvo e trasferita nella chiesa di S. Maria della Consolazione, per essere poi rubata negli anni Sessanta del Novecento.
L’altra confraternita è quella di Santa Maria in Portico che ebbe origine dall’attività di accoglienza della matrona romana Galla, generosa benefattrice solita offrire cibo e riparo ai poveri. La chiesa fu realizzata al tempo di papa Gregorio Magno e nell’XI secolo vi fu annesso l’ospedale specializzato nella cura degli anziani.
Anche questa struttura possedeva un’immagine della Madonna poi trasferita in S. Maria in Campitelli.
Dall’unione di vari edifici e annessi ospedali (S. Maria delle Grazie, S. Maria della Consolazione e S. Maria in Portico) all’inizio del Cinquecento nacque un unico complesso denominato prima Arciospedale di S. Maria de vita aeterna e poi della Consolazione, destinato a grande fama e importanza negli anni a venire.
Alla fine del Cinquecento poteva ospitare 50 uomini e 10 donne e si arricchì di una spezieria e di un teatro anatomico con una scuola sanitaria per la dissezione sui cadaveri.
Completava il complesso un’area cimiteriale successivamente rimossa.
Il centro ospedaliero era famoso per la scuola di chirurgia e rimase operativo fino al 1936.
Tra i personaggi illustri che risultano essere stati pazienti del nosocomio figurano S. Ignazio di Loyola, San Luigi Gonzaga ed altri santi.
Nell’ambito delle forme assistenziali e caritatevoli verso gli infermi compaiono anche nomi di alti prelati. Il papa Clemente XII era solito fornire assistenza ai malati servendoli di persona con biscotti e prugne.
A testimonianza della primitiva struttura, attualmente, su via della Consolazione, resta il portale quattrocentesco dell’antica corsia ospedaliera. Si rintracciano inoltre due iscrizioni, una dedicata al Santo Luigi Gonzaga e l’altra recante il divieto di transito notturno per evitare di disturbare i ricoverati.
Anche il nome di un celebre pittore romano del Quattrocento è legato al complesso. Nella chiesa attuale, infatti, oltre all’altare della Cappella Maggiore in cui campeggia la Madonna della Consolazione, ormai considerata un’antica icona restaurata da Antoniazzo intorno al 1470, la Sacrestia custodisce due opere del celebre pittore: la Madonna con Bambino ed il Cristo nel Sepolcro.
Si apre a questo proposito una querelle attributiva poiché ancora controversa risulta la presenza di Antoniazzo negli affreschi presenti sulle pareti della sagrestia.
L’ambiente, che in origine era una cappella e un luogo di passaggio tra chiesa e ospedale, è arricchito anche da un rilievo marmoreo con la Crocifissione opera del 1490 di un allievo di Bregno, Ludovico di Pietro Capponi. Potrebbero essere di sua mano anche alcuni portali esterni alla struttura ospedaliera.
Oltre alla figura del Cristo nel sepolcro, sono apparsi recentemente alcuni elementi costituenti una struttura illusionistica e alcune figure a mezzobusto di santi. Una di esse ha sembianze femminili ma risulta di difficile identificazione, l’altra è un santo in abito da pellegrino identificato come San Giacomo o San Rocco.
Per la figura del Cristo, eretto a metà fuori del sarcofago ed allargante le braccia quasi per mostrare le mani ferite. oltre alla derivazione stilistica schiettamente umbra e peruginesca, si osserva il forte naturalismo quasi anatomico del petto, dei muscoli e dell’ossatura che sembrano derivare da un modello umano a disposizione dell’artista, forse un cadavere dell’ospedale, anche per il colorito livido che lo caratterizza.
Non si esclude si tratti di un’ opera di un collaboratore di Antoniazzo, come Pietro Turini, o di un maestro umbro attivo tra Quattrocento e Cinquecento.
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
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