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Artisti, soci…quasi amici: Pietro Cavallini e Arnolfo di Cambio a Trastevere

La Basilica di S. Cecilia

A poca distanza dal salotto mondano di Piazza S. Maria in Trastevere, la piazza più frequentata del rione, sorge un luogo carico di un fascino antico, sobrio e riservato, ma capace di stupire per l’eleganza e la raffinatezza dei suoi arredi: la Basilica di S. Cecilia.
Sorta sui resti della casa dove la giovane romana, Cecilia, visse e fu martirizzata nel 230 d. C., la chiesa fu realizzata nel IX secolo d.C. per volere del papa Pasquale I e si arricchì di opere architettoniche e decorative tra XII e XIII secolo.
Cecilia era una ragazza di famiglia agiata, la cui fede la indusse a scegliere di dedicare la sua vita a Dio convertendo, nel giorno del suo matrimonio, anche lo sposo Valeriano e suo fratello Tiburzio.

S. CeciliaI caratteri del suo martirio sono all’origine della straordinaria iconografia della statua che Stefano Maderno realizzò per l’altare maggiore dove l’artista riprodusse l’esatta posizione in cui il corpo della martire fu ritrovato nelle catacombe di S. Callisto.
Cecilia, infatti, durante la persecuzione di Diocleziano, fu martirizzata prima nel calidarium, collocato nei sotterranei dell’attuale basilica. Sopravvissuta al martirio, fu colpita tre volte sul collo per essere decapitata, ma sopravvisse tre giorni e con le dita della mano fino al momento della morte indicò la Trinità e ribadì la sua fede in Dio.
S. CeciliaIn questo luogo così schiettamente legato alle tradizioni romane e alle origini dell’affermazione e diffusione del cristianesimo, nonostante le cruente e inefficaci azioni persecutorie dell’autorità imperiale ancora tenacemente ancorata al paganesimo, quello del martirio della giovane Cecilia è solo uno degli straordinari eventi storici cui si assiste.
Vi si trova, infatti, testimonianza diretta di un altro momento storicamente rilevante che corrisponde alla stagione culturale della fine del Duecento, quando si assiste alla fase estremamente prolifica di novità in campo artistico.
Del resto, capita raramente di trovare all’opera, nello stesso ambiente, due artisti del XIII secolo del calibro di Pietro Cavallini ed Arnolfo di CambioI loro nomi sono legati a due capolavori assoluti di arte medievale, vere icone della grande stagione duecentesca romana, che il visitatore può ammirare e mettere a confronto.

Pietro Cavallini

Pietro Cavallini, pittore romano vissuto a cavallo tra Duecento e Trecento, realizza nel 1293 sulla controfacciata della basilica un affresco straordinario con la Venuta finale e il Giudizio di Cristo. Riscoperto solo all’inizio del Novecento, questo capolavoro era rimasto nascosto a partire dal XVI secolo al di sotto del coro costruito per le monache di clausura.
S. CeciliaSalendo dunque in controfacciata, ci troviamo faccia a faccia con il magnifico Cristo assiso su un trono impreziosito da gemme. La figura appare all’interno di una mandorla apocalittica fiancheggiata da cherubini.
Oltre alla Vergine e ad alcuni santi, come la tradizione iconografica del Giudizio prevede, campeggiano le anime dei Beati e quelle dei Dannati. In questo particolare dell’affresco, svolgono un ruolo interessante anche le figure degli angeli che respingono i Dannati con le mani e con le lance ingaggiando una concreta e realistica lotta contro il Male.
S. CeciliaNella resa prospettica, nelle sfumature di colore, nella vivacità della rappresentazione dei corpi e e nella resa dei sentimenti, la romanitas classica di Pietro Cavallini supera la ieraticità del bizantinismo ancora imperante nella pittura dell’epoca, veicolando magnificamente l’impatto dello slancio di rinascita dell’arte occidentale.
Quanto l’opera del Cavallini fosse stata pensata in rapporto al mosaico absidale della basilica trasteverina è evidente osservando l’allineamento dello sguardo della figura ad affresco di Cristo con l’Agnello del mosaico, ma a rendere ancora più straordinario il momento artistico che il cantiere di S. Cecilia rappresentò nelle committenze romane della fine del Duecento è la presenza del Ciborio di Arnolfo di Cambio. Qui sembra davvero esserci un serrato dialogo tra i maestri e i loro capolavori.

Arnolfo del Cambio

S. Cecilia

L’artista di Colle Val D’Elsa, contemporaneo del Cavallini e probabilmente suo collaboratore, porta nella chiesa di S. Cecilia il linguaggio internazionale che unisce alla classicità romana l’influsso del gotico francese.
Così la ricerca di una tridimensionalità nelle statue che si inseriscono nei pilastri angolari del Ciborio dialogano con la volumetrica corporeità delle figure del Cavallini.
Con Pietro ed Arnolfo, Roma cominciava a superare quel modello di arte bizantina che aveva dominato la scena artistica per secoli e si riappropriava di uno stile che era il risultato di tante componenti nuove e persino d’oltralpe in equilibrio con una dimensione classica locale.
La strada per la rinascita di un’arte svincolata dalla tradizione orientale era ormai tracciata.
Pochi anni più tardi a Roma sarebbe stato indetto il Primo Giubileo per volere di Bonifacio VIII e lo stesso Giotto avrebbe lasciato alcuni dei suoi capolavori solo in parte sopravvissuti.

Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy

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Tiziana Bellucci

Tiziana Bellucci

Laurea in Lettere all’Università di Roma “La Sapienza”, con indirizzo storico-artistico. Ha svolto attività didattica e di ricerca come “Cultore della materia” per la Cattedra di Critica d’Arte, presso il Dipartimento di Storia dell’Arte della Facoltà di Lettere alla Sapienza. Guida turistica abilitata per Roma e provincia, da anni svolge attività di promozione culturale nell’area di Roma e nel territorio della Tuscia dedicando particolare attenzione agli aspetti della storia dell’arte medievale e rinascimentale. È docente di ruolo nella scuola pubblica.

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