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Bernini e Borromini. Geni rivali

È il 1644 e Papa Urbano VIII, Maffeo Barberini, è appena morto il 29 luglio, quasi a conferma dell’involontaria profezia iscritta, e poi cancellata, sulla Fontana delle Api, simbolo araldico della famiglia, all’angolo tra Via Veneto e Piazza Barberini.  Sulla fontana, l’iscrizione che avrebbe dovuto celebrare i ventidue anni di pontificato di Maffeo, fu modificata proprio perché al ventiduesimo anno mancavano ancora due mesi, e così per evitare che suonasse come un cattivo presagio l’ultimo numero del numero romano XXII fu abraso. Ma il cattivo augurio era stato scritto. Maffeo non arrivò mai al ventiduesimo anno del suo pontificato perché morì esattamente 8 giorni prima.

Innocenzo X

Ad Urbano VIII succede Giovanni Battista Pamphilj che diverrà Papa con il nome di Innocenzo X.
Giurista che come Urbano aveva studiato presso il Collegio Romano, era un uomo completamente diverso dal suobernini predecessore, molto meno esuberante ed incline alle folli spese che avevano caratterizzato il pontificato Barberini.
In quel periodo Gianlorenzo Bernini è il più grande sculture d’Europa, un intellettuale a tutto tondo, nonché un vero e proprio dignitario della famiglia Barberini.

Francesco Borromini è uno straordinario architetto, burbero e poco incline ai compromessi anche per accontentare le sue committenze. Le sue idee infatti sono audaci, fin troppo, e proprio la sua incapacità di scendere a patti con i suoi mecenati gli aveva alienato le commissioni più importanti, almeno fino a quel momento.

La famiglia Pamphilj nutriva grande ambizione per se stessa e per la città di Roma, Innocenzo voleva dare un deciso cambio di passo alla politica pontificia e soprattutto un cambio di rotta anche per far fronte allo stato di salute delle casse statali che versavano in condizioni disastrose.
Sarà proprio sotto Papa Innocenzo X che la rivalità tra questi due artisti assumerà contorni epici, a tratti leggendari. Il tutto legato alla ristrutturazione di quella che diverrà l’insula pamphilia, la sede ufficiale della famiglia papale: Piazza Navona.

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Palazzo Pamphilj

Il Papa cominciò ad unificare diverse proprietà familiari, per costruire sul lato lungo della Piazza il suo Palazzo, oggi l’ambasciata del Brasile, con la chiesa di famiglia accanto: Sant’Agnese in Agone.
L’incarico venne dato all’architetto Girolamo Rainaldi e a suo figlio Carlo. Venne anche creata un’apposita commissione per sovraintendere il lavoro dei due. Borromini ne faceva parte, Bernini, il cui nome era troppo legato alla famiglia rivale dei Barberini, no.
Nel 1646 insoddisfatto di come stavano andando i lavori, Innocenzo X decise di chiamare Francesco Borromini, era finalmente arrivato il momento della sua prima committenza papale.

Francesco avrebbe voluto sviluppare l’intero progetto del Palazzo intorno ad un cortile con estremità absidate, in pratica un ovale allungato che avrebbe dovuto ricalcare la forma della Piazza che a sua volta richiamava l’antico Stadio di Domiziano. Ma come accaduto varie volte in passato questa idea fu ritenuta troppo innovativa ed il Papa preferì attenersi all’impianto più tradizionale che avevano impostato i Rainaldi.
Ciononostante l’architetto riuscì a mettere in pratica gran parte delle sue idee soprattutto per la straordinaria galleria affrescata da Pietro da Cortona con la superba Apoteosi di Enea sul soffitto.

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Il progetto e la decorazione della Galleria

L’ambiente si sviluppa in lunghezza e occupa gran parte dell’ala settentrionale del piano nobile.
All’esterno il bordo meridionale si sviluppa in continuità con la facciata della Chiesa di Sant’Agnese. L’interno è riccamente decorato da timpani ricurvi simili a rotoli, che si elevano verso il soffitto, posti sopra porte e finestre, quest’ultime inquadrate da quattro colonne tortili.
Composizioni scultoree con piume e fiori dorati o dipinti ornano tutta la sala, come le ricche decorazioni delle porte in netto contrasto con il colore monocromo delle pareti, in origine un cremisi carico.
Sebbene tutti questi abbellimenti non siano tipici dello stile del Borromini, probabilmente in questo caso l’architetto si è voluto richiamare agli elementi decorativi dipinti dal Cortona per creare una sensazione di uniformità che seppur animata da contrasti risulti sempre armonica e mai dissonante.

Nonostante il grande successo ottenuto, e la seguente, importantissima, committenza per la ristrutturazione di San Giovanni in Laterano per il Giubileo del 1650, i rapporti tra Innocenzo X e Francesco Borromini non furono mai idilliaci.
Il Papa lo ammirava per la sua straordinaria capacità di “migliorare” edifici in buonissima parte già ultimati ( che l’architetto riusciva grazie alla sua bravura a trasformare) ma non apprezzava la sua voglia, giudicata eccessiva, di “stravolgere” quegli stessi edifici.
Dal canto suo Francesco voleva sempre avere carta bianca e non accettava che nessuno mettesse bocca nei suoi progetti, anzi considerava come un affronto personale ogni piccolo cambiamento che gli veniva proposto.
Ecco perché gli venivano sempre preferiti in prima istanza i Rainaldi, più tradizionali e protetti dal potente nipote del Papa, Camillo.
E questa fu la stessa situazione che si presentò per la costruzione di Sant’Agnese in Agone.

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Sant’Agnese in Agone ed i problemi dei Rainaldi legati alla sua progettazione

Nella primavera del 1652, dopo che l’acquisizione degli ultimi terreni era terminata, iniziarono i lavori. Sebbene i lavori si protrassero per un anno, i problemi sorsero da subito. L’antico titulus edificato sul luogo dove la santa era stata martirizzata, era  inutilizzabile per la presenza di acqua nel terreno sottostante e quindi l’idea di utilizzare l’antica chiesa come cripta di famiglia tramontò. Girolamo abbassò perciò il pavimento della chiesa al livello della piazza e costruì una scalinata eccessivamente invadente e criticata da tutti i grandi architetti dell’epoca. Fu subito chiaro che ormai era diventato troppo vecchio per sovraintendere ad incarichi così importanti. Così i lavori passarono al solo figlio Carlo che però non seppe rimediare ai problemi derivanti dalla progettazione. Portoghesi scrive che gli schizzi dei Rainaldi sono “assurdi e insensati”. La facciata eccessivamente alta e squadrata copriva la cupola. Insomma i lavori vennero bloccati. Carlo licenziato ed il progetto affidato al Borromini.

La Facciata Barocca

Francesco si ritrovò a mettere mano ad un’opera completata, male, per quasi metà. Sgraziata ed infelice. Ma grazie alla bravura che lo contraddistingueva fu in grado di sviluppare uno dei più bei esempi di chiesa barocca.
Conservò la planimetria progettata dai Rainaldi ma modificò i lati rendendoli convessi, in modo tale da dare maggiore movimento e dinamicità alla struttura. Ma soprattutto creò una facciata innovativa e vigorosa.
Demolì la scalinata di Girolamo e inquadrò tre entrate, quella centrale più ampia tra otto colonne robuste. La facciata convessa venne accompagnata da due campanili bassi ma movimentati che avevano il compito di snellirne i profili. Una serie di gradini bassi e ovali digradavano verso la piazza su di un pianerottolo ovale.

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Borromini riuscì addirittura ad armonizzarsi con la fontana dei Quattro Fiumi del Bernini, già completata, come aveva fatto anni primi con il Cortona a Palazzo Pamphilj.

Con la sua facciata- scrive Portoghesi- è abbastanza generoso da accennare un movimento abbracciante che […] introduce una accentuata relazione dinamica tra i due protagonisti della scena urbana“.

Ma sebbene i lavori procedessero spediti e Francesco fosse riuscito in un vero e proprio miracolo, le condizioni di salute del Papa cominciarono a peggiorare, la cattiva gestione delle maestranze (gli operai non vennero pagati) e i rapporti sempre più tesi con Camillo Pamphilj fecero passare la realizzazione di un progetto così importante, per non dire fondamentale, in secondo piano.
Innocenzo non riuscì a vedere la basilica finita e morto il Papa, quando Camillo divenne il capo della famiglia troncò definitivamente tutti i rapporti con Borromini.
Quella fu la sua ultima grande commissione.

La crisi del Bernini

E Bernini?
Facciamo un passo indietro. Siamo nel 1644 anno della morte di Urbano VIII e la fama di Gianlorenzo sta per subire un brusco stop. Come sovraintendente ai lavori della Basilica di San Pietro ha il compito di costruire due campanili accanto alla facciata. Ma problemi di staticità ne pregiudicano la costruzione. Le torri campanarie sono troppo pesanti ed il terreno troppo sabbioso. La torre meridionale si appoggia molto alla facciata che comincia addirittura a mostrare delle crepe proprio in corrispondenza del campanile. Già Maffeo è costretto a bloccare i lavori poco prima della sua morte. Nello stesso anno Innocenzo interrompe i lavori perché stanno pregiudicando la tenuta della facciata stessa e ordina l’abbattimento del campanile meridionale.

La notizia ha un’eco enorme. È la prima bocciatura per Bernini. I suoi detrattori cominciano a far circolare ogni sorta di voce sul suo conto, che avesse risparmiato sui materiali di costruzione e che si fosse intascato i soldi del Papa. L’artista è distrutto ed il suo nome troppo legato ai Barberini lo riduce per la prima volta ai margini della scena artistica.
È un periodo di ombre, ma si sa le ombre sono destinate a svanire soprattutto se si possiede il genio del nostro scultore.

Il grande ritorno dell’artista

L’occasione si presenta in maniera inaspettata. Nel complesso progetto di ristrutturazione di Piazza Navona, il Papa vuole al centro della piazza una fontana monumentale. Ha chiesto al Borromini di portare l’acqua dell’Acquedotto Vergine fino alla piazza. Ed è proprio il Borromini a consigliare al Papa di rappresentare attraverso i quattro fiumi tutto il mondo conosciuto.
Innocenzo istituisce una commissione per decidere a chi affidare la committenza e Bernini, famoso per la progettazione delle sue fontane, non viene invitato.

Sarà il principe Ludovisi a convincere Bernini a partecipare e si incaricherà di fare avere il progetto al Papa. Secondo il racconto del Baldinucci e di Domenico Bernini, figlio e primo biografo dell’artista, Ludovisi riuscì ad introdurre il modello della fontana sul tavolo da pranzo di Palazzo Pamphilj in modo tale che durante una cena Innocenzo se lo trovasse di fronte. Ne rimase talmente affascinato che pare avesse esclamato:

Questo disegno non può essere di altri che del Bernino, […] Onde bisognerà per forza servirsi del Bernino […] Chi non vuol porre in opera le sue cose, bisogna non vederle.

Alla fine il Papa incontrò Gianlorenzo e quasi scusandosi con lui, tra mille complimenti gli affidò la commissione.

La Fontana dei Quattro Fiumi

La Fontana dei Quattro Fiumi venne completata nel 1651, e rappresenta ancora oggi uno dei massimi capolavori insuperati dell’artista.
Quattro enormi statue di titani simboleggianti i 4 fiumi: il Nilo, il Gange, il Rio della Plata e il Danubio, allegorie dei quattro continenti, e quindi di tutto il mondo conosciuto, svettano ai quattro lati di un enorme blocco in travertino che sulla sua sommità regge un obelisco, cosiddetto agonale, del I secolo d.C. imitazione romana di quegli egiziani. Dominato sulla sommità da una colomba, simbolo araldico dei Pamphilj nonché dello Spirito Santo.

Per accentuare la tensione drammatica, come già aveva fatto per la Fontana del Tritone, Bernini scava la pietra quasi a formare una caverna, uno spazio cavo da cui si può vedere l’altro lato della piazza. Intorno una ricca serie di animali e piante formano la flora e la fauna che caratterizzano i quattro continenti di cui i fiumi sono protagonisti.
Come lo Spirito Santo sui Quattro Fiumi dell’Eden così il Papa aveva riportato la pace e la grazia del Signore su tutto il globo terracqueo.
Quando il Papa vide l’acqua scorrere da tutti i lati della fontana ne rimase incantato.
Grazie alla sua straordinaria bravura Gianlorenzo Bernini aveva sconfitto i suoi detrattori e superato le avversità tornando al centro della scena, dove era sempre stato.

Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy

Leggi anche La luce nei mosaici di Santa Prassede e La Roma di Gian Lorenzo Bernini e La Roma di Borromini

Francesco Ricci

Francesco Ricci

Dopo aver studiato al Liceo Classico, si laurea nel 2009 in Storia dell'Arte Moderna e nel 2012, con lode, in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'università la "Sapienza" di Roma. È insegnante di storia dell'arte nei licei e guida turistica abilitata. Ama scrivere, viaggiare, e nutre una grande passione per l'arte, il cinema e la musica.

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