Il Birrificio San Michele nasce nell’ottobre del 2010 dalla passione di Bruno Gentile per la birra artigianale. Bruno scoprì il suo interesse per questa bevanda per caso, durante un viaggio di lavoro all’estero in Nord Europa.
Noi di BloggingArt l’abbiamo intervistato e sono emersi aspetti notevoli, a cominciare dalla volontà di condividere la sua curiosità verso un prodotto che all’epoca, in Italia, era completamente sconosciuto.
Come nasce in lei la passione per le birre artigianali tradizionali?
La mia è una storia particolare: io ho circa 60 anni e non sono nato birraio, non ho fatto scuole da birraio anche perché non esistevano. Mi occupavo di informatica, ero un dirigente IBM per varie aziende multinazionali e questo lavoro mi portava spesso in giro per trasferte.
Una volta, circa 25 anni fa, ero a Bruxelles e una sera sono capitato in un locale che produceva birra, una birra con un gusto completamente diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati in Italia con i prodotti industriali; al che ho chiesto alcune informazioni al proprietario (che era anche il birraio) e che mi ha raccontato un po’ di storia e come si faceva la birra, e da lì mi sono appassionato. All’epoca non sapevo niente di come funzionasse, ad esempio, il processo di fermentazione, avevo una visione molto meccanicistica di quello che accadeva, e venire a conoscenza del fatto che dei microrganismi trasformavano lo zucchero in alcol e che quindi la birra era un prodotto vivo mi ha entusiasmato (niente a che vedere con i bytes e l’informatica!).
Quindi ha lasciato completamente il campo dell’informatica per dedicarsi alla birra?
Adesso sì. Fino a cinque anni fa tenevo il piede in due scarpe, perché ovviamente lasciare il certo per l’incerto da una posizione di tutto rispetto non è stata una decisione improvvisa. Diciamo che è stata un’eutanasia naturale, è stata veramente una dolce morte perché sono stato appassionato anche di informatica e non posso rinnegare il mio passato. Però adesso seguo a tempo pieno questo birrificio e due ristoranti, quindi posso dire di essermi reinventato completamente.
Come è nato il birrificio?
Come una sorta di rivincita, un po’ perché mi ero stancato del campo informatico e delle sue logiche ed un po’ perché volevo far provare a tutto il mondo, a partire dagli amici e dai miei vicini di casa con i primi esperimenti in laboratorio, cosa fosse la vera birra artigianale e non il prodotto industriale a cui ci avevano abituati. Abbiamo deciso di chiamarci San Michele perché nel laboratorio c’era una finestra da cui si vedeva l’abbazia di San Michele, uno dei simboli storico/religiosi del Piemonte più noti ed importanti al mondo (immagini che Umberto Eco per scrivere “Il nome della rosa” si è ispirato a questo luogo!). Anche nella nostra etichetta si vede una specie di finestra da cui appare l’immagine di questa abbazia, entrata a far parte anche del nostro logo. Dopo qualche anno, da un laboratorio di soli 100 mq siamo poi approdati ad un edificio storico del 1870 che è tuttora la sede del nostro birrificio, attraverso un importante progetto di recupero di una fabbrica industriale.
Si tratta di un’azienda a conduzione familiare?
Sì, praticamente sì, siamo io e mia moglie. I nostri figli si stanno avvicinando dolcemente, io non voglio che loro vedano l’azienda come un punto di atterraggio ma come un punto di partenza. Al momento stanno facendo esperienze completamente diverse, anche loro in multinazionali, come ingegneri. E’ bene che sperimentino la normalità prima di entrare nell’azienda di famiglia.
Che tipi di birre avete, e quanti prodotti?
Adesso noi facciamo 16 tipologie di birre diverse. La storia della birra a me ha sempre appassionato legata anche al discorso del cibo, quindi ci siamo inventati dei prodotti che coniugassero i vari tipi di birra con i piatti che a me piaceva mangiare, perché nel mio immaginario la birra, come il vino, può accompagnare tutti i cibi ed è parte integrante dei piatti che proponiamo, anche dolci, o nel caso dell’abbinamento coi formaggi abbiamo una gelatina di birra per accompagnarne la degustazione.
Approfitto per chiederle qual è la sua birra preferita e a cosa si potrebbe abbinare?
Non esiste una birra preferita perché è un po’ come chiedere a un papà quale figlio preferisca. Ogni birra ha una sua storia, poi vado a periodi ovviamente. C’è stata anche un’occasione in cui una birra è nata per sbaglio, dovuta alle materie prime che dovevano essere di un certo tipo ma non è andata così: il produttore aveva mischiato un malto con un altro e quindi ci siamo ritrovati con una birra che anziché essere bionda era ambrata. Io ero molto deluso, anche perché ci siamo ritrovati con migliaia di litri di questa “birra sbagliata” che a me non piaceva, ma abbiamo provato comunque ad infustarla e a farla provare ai clienti, e a loro piaceva! Alla fine l’abbiamo inserita tra le nostre birre chiamandola Mimì (ogni birra ha il nome di un’eroina di un’opera lirica, ndr).
Come mai questa scelta di nomi femminili legati alle opere liriche per le vostre birre?
Per me la birra prima di tutto è donna, basti pensare alla bionda nell’immaginario collettivo… E poi quando mi sono inventato queste birre dovevo fare in modo che si ricordassero, e mi aveva sempre intrigato conoscere la trama delle opere liriche, quindi ho pensato di dare alle birre i nomi delle eroine delle opere liriche, cercando un filo conduttore tra la sensazione che dava una determinata birra e l’eroina stessa, ma anche prendendo in considerazione il colore della birra o dell’etichetta, in modo da richiamare una serie di elementi presenti nel nostro immaginario. Io però non ne sapevo moltissimo, quindi mi sono fatto aiutare da un vicino di casa che insegnava storia della musica e da un cugino di mia moglie, maestro al Teatro Massimo di Palermo nonché amante della birra.
Che tipo di clientela avete?
Nel caso delle esportazioni all’estero il nostro cliente più importante è la Corea del Sud, seguita dal Giappone, ed ora stiamo iniziando ad esportare anche in Cina. Poi storicamente abbiamo esportato nei Paesi del Nord Europa, come la Danimarca, la Svezia e la Francia, mentre non abbiamo mai esportato in Germania nonostante la presenza di eventi legati alla birra come l’Oktoberfest, ma è chiaro che parliamo di prodotti completamente diversi.
In loco, oltre alle degustazioni ed alla vendita diretta abbinata alla ristorazione, offriamo ai clienti ed anche ai gruppi di turisti di diventare birrai per un giorno, ed è una proposta che ha avuto riscontri molto positivi.
Pensa di aprire altre sedi in Italia?
Ci sarebbe il progetto di farlo, ma sono solo ed avrei bisogno di partners. Però le dico anche che in questo periodo ci sono molte più persone spente che accese, è un periodo davvero triste, in più molte persone preferiscono stare a casa con la Naspi (indennità mensile di disoccupazione, ndr) piuttosto che lavorare.
Avete mai vinto dei premi o avuto dei riconoscimenti?
Sì, per esempio la nostra birra Norma alle castagne, una delle prime che abbiamo fatto, è quella che ha vinto quattro volte il primo premio come birra dell’anno, il più prestigioso in Italia. Alla terza volta ci hanno invitato a non presentarci e ci siamo presentati l’anno successivo con la stessa birra ma prodotta con l’acqua di un’altra sorgente, ed abbiamo comunque vinto per la quarta volta!
Prevedete l’introduzione di nuovi prodotti nel vostro birrificio?
Sì sì, in realtà li abbiamo già fatti, l’unico limite è il tempo. Abbiamo fatto sia prodotti commestibili che di cosmesi, e poi abbiamo un grosso progetto che però non posso svelare adesso, posso soltanto dirle che ha a che fare con la cura della persona.