“Boia nun passa ponte!” era l’esclamazione romana per dire che ognuno doveva stare al suo posto. Il boia in questione era il famoso mastro Titta, con decenni di onorata carriera alle spalle e qualcosa come 514 esecuzioni all’attivo e il ponte era Ponte Sant’Angelo, il più bello della città.
Ponte tanto importante da dare addirittura il nome anche ad uno dei Rioni, “Ponte” appunto, per ironia della sorte oggi invece appartiene a Borgo.
Il ponte alle origine si chiamava ponte Elio, dal nome del costruttore il famoso imperatore Publio Elio Adriano, l’architetto fu Demetriano, ma pochi se lo ricordano, perché nella Roma antica preferivano tramandare il nome di chi pagava e non di chi progettava.
Ponte Elio era probabilmente utilizzato ad uso esclusivo della Mole Adriana, la tomba che a partire da Adriano accolse gli imperatori fino a Caracalla. Il traffico “normale” utilizzava il ponte Neroniano, qualche metro più a valle. Nei periodi di secca il ponte costruito da Nerone riappare nel Tevere come un fantasma.
Nel Medioevo cambia nome e diventa ponte S. Pietro, trasformandosi nella principale via di accesso per la Basilica Vaticana e proprio dal ponte, papa Gregorio Magno nel 590, durante una maestosa processione per scongiurare la peste, vedrà apparire un Angelo in cima al mausoleo che, riponendo la spada, darà il segnale per la fine della pestilenza.
Probabilmente la processione, che interessò tutti i Romani, fu causa di una diffusione maggiore della malattia, ma come non credere ad una storia così bella?
Da allora una serie di angeli si son dati il cambio in cima al castello e il ponte ha cominciato ad esser ricordato come Ponte Sant’Angelo.
In epoca barocca sarà abbellito dagli sfavillanti angeli ideati dal Bernini, tutti impegnati a mostrare gli oggetti della Passione di Cristo, perché il ponte è bellissimo, ma di una bellezza tragica, tante sono le disgrazie che ha visto compiersi.
Nel giubileo del 1450 a causa di una mula imbizzarrita, finiscono nel fiume 172 persone, molte delle quali affogarono.
In loro ricordo papa Niccolò V fece innalzare sul ponte due piccole cappelle espiatorie dedicate a “S. Maria Maddalena” ed ai “Ss. Innocenti”, smantellate dopo il Sacco di Roma del 1527, perché usate dai lanzichenecchi come punti di fuoco contro il Castello.
Alla fine del ‘500 Sisto V farà nascere un nuovo detto romano: “Ce sò più teste ar Ponte che meloni al mercato“. Infatti, per dare il buon esempio, aveva fatto decapitare un ragguardevole gruppo di briganti e fatto esporre le teste lungo le spallette del ponte!
L’acqua intanto scorre e Roma diventa Capitale, il Tevere era un pericolo serio in caso di piena e si decide di costringerlo tra enormi muraglioni bianchi. In occasione dei lavori vengono alla luce i resti originali di epoca romana, che però vengono subito ricoperti e nascosti dal lungotevere.
L’ultima impresa che ha interessato il nostro ponte è stata l’installazione di una statua dello scultore Jago “in flagella paratus sum”, rappresentante un profugo, subito vittima di atti di vandalismo!
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
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