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Breve storia del Diavolo

il ruolo del diavolo nella storia dell'arte
Lucifero, Franz Von Stuck

Il più grande inganno del Diavolo è stato far credere al mondo che lui non esiste
(dal film “I soliti sospetti”)

Invece il Diavolo esiste
E non esiste l’Inferno senza il Diavolo e il Diavolo senza l’Inferno.
Tra le tante suggestioni e riflessioni che la mostra Inferno delle Scuderie del Quirinale ci ha lasciato, varrebbe la pena soffermarsi sulla figura del diavolo e sul suo ruolo nella Storia dell’Arte e di conseguenza nella storia dell’uomo. Come ricorda il critico letterario e storico della letteratura Giulio Ferroni in uno degli incontri d’approfondimento sui temi della mostra, Infernauti:

Fare la storia del Diavolo vuol dire fare la storia dell’umanità

La storia dell’Uomo non inizia nella serenità immobile del Giardino dell’Eden, ma da quando i due progenitori vengono cacciati per aver ceduto alle tentazioni che il Diavolo, sotto forma di serpente, gli aveva indotto.
Solo quando si troveranno a vagare per il mondo sperimentando la fame, il dolore e il freddo, allora inizierà la storia dell’umanità nella continuità spazio-temporale, nel mondo della necessità e del lavoro.

Del resto nel cosmo dantesco incentrato sulla cosmologia tolemaica, la terra è al centro dell’universo, e al centro esatto della terra c’è il Diavolo.
Immerso fino al busto nelle acque del lago Cocito perennemente congelate grazie al continuo sbattere delle sue ali.
Lo stesso Inferno nel canone dantesco è stato creato dal Demonio.
Lucifero, continuando a precipitare a seguito della caduta, avrebbe provocato la voragine infernale nonché il fuoriuscire della montagna del Purgatorio dalle acque dell’emisfero australe.

Così come lo illustra Botticelli nella Voragine Infernale, l’unica opera completata tra le celebri illustrazioni della Divina Commedia, composte dall’artista sul finire del ‘400 su commissione di Lorenzo di Pierfrancesco de Medici.

rappresentazione dell'Inferno dantesco
La Voragine Infernale, Sandro Botticelli. 1481-1488. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana

La figura del diavolo

La figura del diavolo, dal greco diabolos: colui che divide, non ha avuto sempre la stessa importanza nella storia dell’Uomo.
Nella Bibbia ebraica Satana era quasi un consigliere di Dio che si opponeva agli uomini e li contrastava, punendoli per i loro peccati. È solo sotto l’influsso delle dottrine iraniche che il Diavolo diventa il polo opposto di Dio: l’Avversario.

Con il comparire di una nutrita letteratura apocalittica non canonica (come il libro di Enoch o il libro di Adamo) Satana diventerà Lucifero (traduzione latina dall’originale ebraico di San Girolamo nella Vulgata), l’angelo ribelle che guiderà la rivolta contro Dio. Sotto questa visione dualistica comincerà ad essere identificato come il serpente del Giardino dell’Eden e come il drago dell’Apocalisse.
Nel Nuovo Testamento il Diavolo sarà il tentatore di Gesù fino a diventare il tentatore ed il calunniatore per eccellenza.

Le molteplici forme del diavolo

Tante sono le raffigurazioni in chiave apocalittica di Satana nel Medioevo, ma al contrario di quanto si possa pensare, è dal Quattrocento in poi che la figura del diavolo diventa la protagonista di una buona parte delle arti figurative.
Il Demonio è “molteplice”. Così come una sola è la Virtù, tanti sono i peccati.
Nei secoli XV e XVI i diavoli, al plurale, acquisiscono un loro posto all’interno degli straordinari inferni visionari delle tele dei grandi pittori fiamminghi come Bosch o Huys.
In questi quadri il “signore degli inferi” lascia lo spazio ad una serie di personaggi dalle sembianze più disparate, dai contorni quasi comici appartenenti ad un registro decisamente più grottesco delle miniature medioevali o delle sculture sui portali delle chiese romaniche.

Nell’Inferno di Pieter Huys, della seconda metà del’500, addirittura non appaiono neanche dei demoni convenzionali, con le ali e le corna, ma una serie di personaggi antropomorfi dalle fattezze animalesche che si divertono a torturare i peccatori nelle maniere più cruente, rappresentate con dovizia di particolari: trafitti, squartati o arrostiti.

inferno fiammingo con creature demoniache bizzarre
Inferno (dettaglio), Pieter Huys. 1570. Madrid, Museo del Prado

Anche l’ambientazione è più simile ad un terreno di battaglia che all’Inferno di dantesca memoria. Questi dipinti avevano un preciso intento moralistico perciò i pittori si soffermavano sulla violenza delle pene come monito ai fedeli: non peccare se non vuoi subire la stessa sorte.

Anche nella Visione di Tundalo di Hyeronimus Bosch, dove si racconta del viaggio di questo Tundalo, gran peccatore condotto nell’Averno, i diavoli veri e propri sono assenti e lasciano posto ad una serie di figure bizzarre quasi fiabesche, ed i tormenti illustrati seguono il fil rouge dei sette peccati capitali.

Descrizione della visione del santo con scene infernali
La Visione di Tundalo. Bottega di Hyeronimus Bosch. 1500 circa, Madrid, Museo Lazaro Galdiano

Le tentazioni di Sant’Antonio

In questa narrazione di creature demoniache punitrici, un posto a parte merita il tema delle “tentazioni di Sant’Antonio”. Santo anacoreta vissuto in Egitto nel III secolo, dove si era ritirato a meditare in solitudine nel deserto, la sua storia ci è stata tramandata da Iacopo da Varagine. Si distingue da quella di altre tentazioni per la presenza di demoni in grandi quantità ed in molti casi di vere e proprie visioni infernali.

Qui il Diavolo viene rappresentato in tutta la sua potenza espressiva. Si passa dalla terribile e deforme creatura demoniaca in primo piano nell’atto di sovrastare il santo di Salvator Rosa (1645), alle visioni infernali del Sant’Antonio di Jan Brueghel il vecchio (1601-25), contorniato da esseri orripilanti nell’atto di compiere le più svariate torture (nonché nel tormentare il doppio dello stesso santo, citazione letterale delle tentazioni di Sant’Antonio di Martin Schongauer ripresa anche da Michelangelo e in maniera più libera da Lucas Cranach).

diavolo
Le tentazioni di Sant’Antonio Abate, Jan Brueghel il vecchio. 1601-1625. Valladolid, Museo Nacional de Escultura

Soltanto dall’Ottocento queste tentazioni prenderanno un carattere più smaccatamente sessuale con visioni di donne lascive, personificazioni della Lussuria.
Per tutto il Seicento il sesso sarà solo uno dei tanti peccati che tormenteranno il santo sempre con un chiaro intento moralistico e sempre con la “molteplicità” del Diavolo a farla da padrone.

Un eroe romantico

Nell’Ottocento il Diavolo diventa “uno”, e assume i caratteri del titanismo tragico propri dell’eroe romantico.
Sotto l’influsso onirico della cultura simbolista il tema delle “tentazioni di Sant’Antonio” torna in auge anche nel XIX secolo. Solo che adesso il santo non è più travolto da visioni di creature demoniache intente a punire i peccatori, le sue visioni diventano più prettamente simboliche influenzate dalla nascente psicoanalisi.

Sono soprattutto figure femminili a tentare Sant’Antonio come nel dipinto di Paul Cézanne. Quando si trova faccia a faccia con il Diavolo, è un incontro quasi intimo, tra il discepolo di Cristo e l’Avversario, il Tentatore, come rappresentato nella stupenda litografia di Redon (1896).

Se nell’Ottocento il Diavolo ritorna a tentare l’uomo così come aveva fatto con Gesù nei Vangeli e lo mette continuamente alla prova (come nel Faust di Goethe) allo stesso tempo diventa quasi la sua controparte. La parte oscura della sua anima che rappresenta tutti i suoi peggiori istinti, ma anche il vano sforzo di ribellarsi ad un destino già scritto e ad un ordine costituito.

Nel Lucifero di Franz Von Stuck (quadro simbolo della mostra delle Scuderie) esposto nel 1890 a Monaco, il Diavolo, unico protagonista della tela, siede in primo piano con le ali ripiegate e gli occhi fissi sullo spettatore. Quello che a prima vista sembra uno sguardo terribile e temibile, ad un’analisi più attenta si scopre attonito e meditabondo.
Niente forcone, niente torture, ma la testa pesante appoggiata sul palmo della mano.
Il Diavolo stesso è pensoso e solitario quasi incapace, persino lui, di sopportare tutto quel male e tutta quella oscurità.

Il Diavolo oggi

Nel Novecento la figura del diavolo cede il passo alle rappresentazioni di inferni concreti e “troppo umani” come le due guerre mondiali e l’Olocausto.
Quando il male abita prepotentemente il mondo nella violenza delle guerre, dei conflitti e nella mostruosità delle persecuzioni e dei massacri, non c’è più bisogno del Diavolo.

E adesso, c’è ancora spazio per il Diavolo nella società contemporanea di oggi? Come scrive Jean Claire nel catalogo della mostra:

Nessuno oggi crede più al Diavolo, la Chiesa stessa non osa più nominarlo come ormai non osa più parlare del Male e dell’Inferno.

Nella nostra società secolarizzata e perennemente interconnessa l’Inferno è diventato parte integrante della vita che viviamo tutti i giorni, il bombardamento di immagini delle continue guerre, troppo spesso ridotte a semplici notizie di cronaca, ci hanno desensibilizzato rispetto alla morte e alla violenza.
L’Inferno è qui e adesso, e la figura del diavolo che ci tenta e ci ammonisce non è che un lontano ricordo che l’uomo moderno ormai non è più capace di ascoltare perso come è nell’inferno dello spirito.

Leggi anche Inferno a Roma

Circa l'autore

Francesco Ricci

Francesco Ricci

Dopo aver studiato al Liceo Classico, si laurea nel 2009 in Storia dell'Arte Moderna e nel 2012, con lode, in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'università la "Sapienza" di Roma. È insegnante di storia dell'arte nei licei e guida turistica abilitata. Ama scrivere, viaggiare, e nutre una grande passione per l'arte, il cinema e la musica.

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