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Camilleri / Ibsen – Azzardate simmetrie

Camilleri - Ibsen - Munch

La rettitudine fatta persona è un racconto di Andrea Camilleri, tratto da La cappella di famiglia e altre storie di Vigata, Sellerio Editore 2016. Il codice linguistico dello scrittore dove si trova quella particolare commistione tra termini autoctoni e termini pseudodialettali, come friscura simile all’italiano frescura, può creare qualche problema ad un lettore non abituato. A volte anche quello che conosce il dialetto siciliano.

Ma non è delle ibridazioni semantiche di Camilleri che voglio parlare. Ma del plot del suo racconto. Del suo protagonista don Fofò, giudicato in prima battuta come capace di pronunciare, sto traducendo in lingua, una sorta di voto di castità per dedicare la propria esistenza “alle sue povire cognate e alle loro figliceddre“. Salvo poi scoprire alla fine del racconto un’altra verità.

Nel 1943 Vigata è sotto attacco. Una bomba fa crollare le facciate della casa di don Fofò. Però le camere restano intatte. Come gli scenari di un teatro. E che cosa emerge? Che la rettitudine fatta persona non era poi così retta. Il letto dove dormiva, nel frattempo il nostro eroe è morto, copriva tutta la camera. Quindi molto grande. Ma non finisce qui. C’erano anche “tanti letticeddri uno attaccato all’autro“. Compresi cinque cuscini. Quando ne aveva voglia poteva ospitare nel suo giaciglio da una a due donne. Insieme. La scoperta non viene resa pubblica. A tal punto che nel 1948 sua eccellenza il vescovo avvia le pratiche per la beatificazione di don Alfonso Sferra. Chiude così il suo racconto, ammiccante e sornione Andrea Camilleri.

Munch,Ibsen - Scenografia per i fantasmi di Ibsen
Munch – “Scenografia per i fantasmi di Ibsen” – 1906, Collezione privata

Volendo azzardare un accostamento poco ortodosso, se non inusuale, non c’è sconcertante ammiccamento ne Gli Spettri di Ibsen. La signora Alving invita il pastore Manders all’inaugurazione di un asilo costruito in memoria del marito. Ma Ibsen non è Camilleri. L’anticipazione del dramma vero e proprio esplode già nel primo atto quando la signora rivela al pastore:

“la verità è che mio marito è morto da depravato tale e quale com’era vissuto in tutta la sua esistenza”

Munch - Ibsen al Grand Cafè
Munch – “Ibsen al Grand Cafè” – 1898, Collezione privata

In Camilleri la contraddizione fra il dettato morale voluto dal sociale e la tendenza alla depravazione coltivata dal singolo, la si legge tra le righe. Come un sotterraneo scorrere carsico. Non si aprono abissi. In Ibsen esplode. Quindi commenta Manders: “tutto il suo matrimonio, quell’intera vita trascorsa in comune, per tanti anni, con suo marito non sarebbe altro che un abisso nascosto”.

A quali conclusioni porta il rivelarsi dell’abisso? Al manifestarsi degli spettri.

“Quasi quasi, pastore Manders, credo che tutti quanti noi siamo spettri. In noi non circola soltanto quello che abbiamo ereditato da padre e da madre, ma anche tutte le vecchie morte opinioni possibili e le vecchie fedi defunte d’ogni specie… Ecco perché tutti indistintamente siamo così compassionevolmente paurosi della luce”

L’amara negativa pietrificata riflessione della signora Alving sembra voler dire: con gli spettri bisogna confrontarsi. Non cercare di scacciarli. Bisogna premettere che escano dalla penombra. Accettarne le conseguenze. Più o meno condivise.

Fausto Politino

Fausto Politino

Laureato in Filosofia, abilitato in Storia e Filosofia, già docente di ruolo nella secondaria di primo grado, ha superato un concorso nazionale per dirigente scolastico. Interessato alla ricerca pedagogico-didattica, ha contribuito alla diffusione della psicologia cognitiva scrivendo per le riviste “Insegnare” e “Scuola e didattica”. Appassionato da sempre alla critica letteraria e artistica, ha pubblicato molti articoli come giornalista pubblicista per “il Mattino di Padova”. Attualmente collabora con la “Tribuna di Treviso”.

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