La Deposizione, dipinta tra il 1602 e il 1604 si trova a Roma nella Pinacoteca vaticana. Il suo autore Caravaggio, che aprì le porte alla moderna spiritualità, è considerato uno straordinario innovatore. È il primo che manda in malora la gerarchia tra i generi sostenendo che “Tanta manifattura è fare un quadro buono di fiori come di figure”. E che si serve della luce per rivelare il vero. Ma sono proposte innovative che non nascono ex abrupto. Nell’opera che si sta analizzando si possono individuare precisi riferimenti stilistici.
Sembra evidente nell’umanissimo corpo di Cristo esausto vinto dall’estrema sofferenza il riferimento al meraviglioso nudo abbandonato sulle ginocchia della Vergine nella Pietà di San Pietro. Scolpita dal Buonarroti più di un secolo prima. Permettendo a Caravaggio di immettersi in un percorso stilistico che “rivoluziona rinnova e vivifica ma non cancella”.
Cominciamo col dire che il termine iconografico con il quale il quadro è conosciuto è solo genericamente corretto. L’episodio che qui Caravaggio raffigura è l’atto che immediatamente precede l’inumazione vera e propria. Il corpo di Cristo, appena disceso dalla croce, verrà spogliato, disteso sulla grande pietra ben visibile per essere lavato, unto, profumato. Non della pietra destinata a coprire e a sigillare il sepolcro dunque si tratta, ma del letto marmoreo, destinato ai riti funerari, che in latino veniva chiamato lapis untionis.
In primo piano, la figura di Nicodemo che sostiene, reggendolo per le gambe, il corpo di Cristo. Volge lo sguardo verso di noi e il suo volto ha tutte le caratteristiche di un ritratto. Dietro di lui ci sono i testimoni storici della Passione e della Morte di nostro Signore: il grido disperato di Maria di Cleofa che alza le braccia al cielo urlando la sua disperazione; Maria Maddalena che piange tutte le sue lacrime; la Madre con il volto impietrito dal dolore; Giovanni l’Evangelista che cerca di sfiorare per una ultima carezza il corpo del Maestro amato.
E poi c’è la pietra, la vera silenziosa protagonista del quadro. La lastra marmorea presenta verso di noi il suo angolo e subito viene in mente il Salmo 118: “La pietra scartata dal costruttore è diventata testata d’angolo”. In questo momento Cristo è la pietra scartata dalla storia. I suoi discepoli lo hanno abbandonato, rinnegato, si sono dispersi. La sua meravigliosa utopia è finita sulla croce e ora si dissolverà per sempre nel sepolcro. Pensieri che Caravaggio rappresenta con implacabile verità. Eppure noi sappiamo, Caravaggio sa, che su quella pietra si fonda la speranza di salvezza per ognuno di noi.
Un’ultima annotazione. Se si confronta la Deposizione del Merisi con quella di Raffaello, datata 1507 esposta a Roma nella Galleria Borghese, il confronto tra le due grandi opere può essere utile per intuire le differenze nel loro procedere creativo. Osserviamo alcune figure. In Raffaello i tre uomini che sorreggono il corpo senza vita di Cristo, rivelano un marcato sforzo. Tuttavia i loro movimenti sono controllati. Non appare dilatazione muscolare. Nel Nicodemo di Caravaggio invece il volto è inciso nella fatica. I suoi arti inferiori saldamente conficcati per terra cercano di equilibrare il corpo inerte del Cristo. Affidandosi ai suoi muscoli tirati allo spasimo.