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Caravaggio. Pittore dell’essere per la morte

Caravaggio, Ragazzo con canestra di frutta, 1593-1594, Roma Galleria Borghese

Claudio Strinati interpreta gli autoritratti di Caravaggio come “autobiografismo simbolico”. L’autore «parla di sé dall’inizio alla fine». In ciò consisterebbe «la vera rivoluzione» della sua arte. Altri interpreti invece prendono le distanze da tale lettura, considerando Caravaggio non pittore dell’Essere ma, volendo rifarsi ad Heidegger, pittore «dell’essere per la morte».

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Caravaggio. San Matteo e l’angelo. 1602 San Luigi dei Francesi, Roma

Un senso che lascia perplesso Pasolini soffermandosi su quel «diaframma luminoso che fa delle sue figure delle figure separate, artificiali, come riflesse in uno specchio cosmico…»; uno specchio in cui «tutto pare come sospeso come a un eccesso di verità, a un eccesso di evidenza che lo fa sembrare morto». I quadri di Caravaggio, là dove danno l’impressione di aderire assolutamente al vero, in realtà testimoniano il destino che inevitabilmente ci accomuna: l’avvento della morte annidato in ciò che è vivo.

Il binomio

Se tale interpretazione è convincente, si spiega perché luce e ombra formano un binomio inseparabile nell’opera di Caravaggio. L’ombra, osserva Longhi, la si riscontra a un certo punto nelle sue creazioni «non tanto per dare rilievo ai corpi» ma per evidenziare le tenebre che ne costituiscono l’essenza.

Il reale tra parentesi

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Caravaggio Bacchino malato, 1593-1594 Galleria Borghese, Roma

Qualcuno, ancora, ha messo in risalto il fatto che in Caravaggio non c’è una realtà preordinata che precede l’agire dell’artista. La criticità e l’interpretazione, prima del procedere pittorico, si riversano sul reale e sugli oggetti che lo costituiscono. Un esempio? Il modo che Caravaggio sceglie nell’impostare la luce, gli serve per non penalizzare ciò che vuole mostrare. Come se mettesse il reale tra parentesi. Gli servisse solo come appoggio. Roberto Longhi ha ipotizzato che il Merisi dipingesse osservando le sue figure riflesse in uno specchio. Una sorta di scorporo che trasferisce le cose dipinte in un universo altro.

Le figure che predilige: garzoni, donne di strada, parti del corpo scandalosi, sono come investiti da una luce mortuaria. “Non solo il Bacchino è malato ma anche la sua frutta. E non solo il Bacchino ma tutti i personaggi del Caravaggio sono malati, essi che dovrebbero essere per definizione vitali e sani, hanno invece la pelle macerata da un bruno pallore di morte”.

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Fausto Politino

Fausto Politino

Laureato in Filosofia, abilitato in Storia e Filosofia, già docente di ruolo nella secondaria di primo grado, ha superato un concorso nazionale per dirigente scolastico. Interessato alla ricerca pedagogico-didattica, ha contribuito alla diffusione della psicologia cognitiva scrivendo per le riviste “Insegnare” e “Scuola e didattica”. Appassionato da sempre alla critica letteraria e artistica, ha pubblicato molti articoli come giornalista pubblicista per “il Mattino di Padova”. Attualmente collabora con la “Tribuna di Treviso”.

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