In Via Boiardo, nella zona del Laterano, incastonato tra assi viari ottocenteschi, tra via Merulana, via Tasso e viale Manzoni, si staglia un elegante edificio seicentesco, unica testimonianza di un ampio complesso che era la Villa Giustiniani-Massimo. Roma fu per molto tempo la città delle ville e dei giardini, luoghi di vite raffinate e appartate, di famiglie aristocratiche, di esposizioni di sculture all’aperto, di delizie e svago e questi spazi di mirabile incontro tra natura ed arte hanno spesso subito la medesima sorte, sacrificati, dopo il 1870, nel processo di lottizzazione dei terreni per la vendita come aree edificabili.
La Villa comprendeva circa cinque ettari di terreno pianeggiante, di cui tre erano destinati alle colture agricole e due al giardino all’italiana che si svolgeva intorno al Casino e ospitava la collezione antiquaria del suo proprietario, il Marchese Vincenzo Giustiniani, principe di Bassano, uno dei più grandi mecenati del tempo, protettore dello stesso Caravaggio. Il Giustiniani, all’inizio del Seicento, affida a Carlo Lambardi la realizzazione dell’edificio a pianta quadrangolare, aperto originariamente da una loggia a tre archi e con eleganti facciate ornate di rilievi e fregi.
La raffinata palazzina, che ricorda le simili strutture dei Casini di caccia Rospigliosi Pallavicini e Ludovisi, si distingue all’interno per un’insolita decorazione pittorica affidata a giovani artisti provenienti dal Nord Europa e noti con il nome di Nazareni. La loro opera al Casino Massimo è meritevole di particolare attenzione, poiché rappresenta l’unica testimonianza della loro produzione romana.
Venduta infatti la proprietà nel 1803 alla famiglia Massimo, le tre sale al pianterreno vengono affrescate da artisti tedeschi che si ispiravano alla pittura rinascimentale italiana, in particolare all’opera di Beato Angelico, Perugino, Filippo Lippi e Raffaello e che, attraverso il primitivismo del loro stile, si opponevano al classicismo accademico imperante nell’Ottocento europeo.
Giunti a Roma per studiare da vicino i capolavori della pittura italiana del Quattro e Cinquecento, furono detti Nazareni per la scelta di un look insolito, caratterizzato da lunghe barbe e capelli ispirati all’immagine di Gesù di Nazareth. Ma la loro ricerca di modelli culturali e artistici puri, con soggetti quasi esclusivamente religiosi fu accompagnata da uno stile di vita che potremmo definire “monastica”. Scelsero infatti di vivere in comunità, nel Convento di Sant’Isidoro, dedicandosi alla pittura e conducendo un’esistenza piuttosto austera. Non è dunque un caso se nel Casino Massimo i Nazareni dipinsero proprio scene tratte dalle maggiori opere letterarie italiane, tutte però rigorosamente ispirate ai valori religiosi cristiani: L’Orlando Furioso, la Gerusalemme Liberata e la Divina Commedia.
A Julis von Carolsfeld di Lipsia fu affidata la Stanza dell’Ariosto con episodi dell’Orlando Furioso, a Johann Friederich Overbeck, dell’Accademia di Vienna, la Stanza del Tasso, dove campeggiano episodi della Gerusalemme Liberata e infine dalla collaborazione fra Joseph Anton Koch, Franz Horny e Philip Veit nacquero gli affreschi della Stanza di Dante con episodi e personaggi estrapolati dalle tre cantiche.
Quest’ultima sala colpisce il visitatore per l’enfasi drammatica delle scene dipinte; in un ambiente di piccole dimensioni incombono, infatti, scorci dinamici quasi michelangioleschi delle più celebri figure umane e mostruose della Divina Commedia, da Caronte a Minosse, dal Conte Ugolino a Casella e a Cacciaguida.
Se proprio Michelangelo è la fonte stilistica facilmente riconoscibile degli affreschi di questa sala, risulta essere piuttosto curioso l’episodio che determinò il rivestimento pittorico di alcune nudità dei personaggi, voluto da una pudica Cristina di Sassonia, cognata di Massimiliano Massimo; sorte analoga, come è noto, toccò agli Ignudi della Sistina vestiti da Daniele da Volterra che si guadagnò, con tale operazione di censura, il soprannome di Braghettone.
Piuttosto complicate furono anche le vicende che accompagnarono la storia della Villa. Dopo essere passata ai Lancellotti nel 1848, fu pesantemente depauperata dei suoi giardini, venduti come area edificabile. Durante l’occupazione tedesca di Roma, la palazzina ospitò il Comando della Polizia Tedesca che operava nell’adiacente via Tasso e dal 1948 appartiene alla Delegazione Francescana di Terra Santa. Sebbene ridotto di dimensioni e quasi intrappolato in un tessuto edilizio estraniante, il complesso riveste ancora un ruolo importante per conoscere aspetti inediti dell’Arte del XIX secolo.
La presenza dei Nazareni a Roma e il loro esperimento eccentrico di revival di modelli pittorici classici, ispirati ad un gusto schiettamente purista, può considerarsi straordinariamente precoce e comunque in netto anticipo rispetto ad altri movimenti europei romantici e di recupero delle tradizioni, come quello dei Pre-Raffaelliti. Tra critiche e consensi, infatti, l’attività di questi giovani artisti, anche se di breve durata, evidenziò pienamente l’esigenza di trovare strade alternative al linguaggio neoclassico dominante l’Europa del Primo Ottocento.
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