All’indomani dell’interruzione degli acquedotti, che Roma subì durante il conflitto tra Goti e Bizantini, gran parte della città eterna inaridì accovacciandosi nell’ansa del Tevere verso la quale convergevano i Rioni Trevi, Colonna, Sant’Eustachio, Regola, Parione, Pigna e Campitelli.
Tuttavia, alcune di queste antiche opere pubbliche, come l’Aqua Claudia e la Marcia, anche se con poveri mezzi furono ricucite. Vengono ancora citate come in funzione nell’anno Mille!
Questi fatti risalgono a quella che gli storici definiscono età altomedievale. La povertà crebbe ed in modo particolare le aree periferiche di Roma (si consideravano periferia Piazza dei Cinquecento, il Quartiere Esquilino e Piazza Barberini) rischiavano di trasformarsi in zone incolte.
Suonano come eloquenti alcuni toponimi, come la Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte. L’agro un tempo appartenuto alla famiglia dei Laterani accolse, durante il regno di Costantino, la prima sede stabile dei papi di Santa Romana Chiesa. La storia di Porta San Giovanni, che si aggiunse nel Cinquecento all’Asinaria, si lega strettamente alla coltivazione dei campi e alla necessità di irrigarli.
Dice come il Liber Pontificalis: negli anni di Callisto II (nel 1122 per la precisione) le maestranze della cittadinanza romana, a colpi di piccone e pala, scavarono un canale quasi navigabile per quanta cura gli fosse stata riservata. Callisto, francese e imparentato per parte di madre con i duchi di Normandia, gli diede il nome di Acqua Mariana. Ma per i Romani era la “Marana”, come quella immortalata nel capolavoro neorealista “Sotto il sole di Roma” con Alberto Sordi.
L’Acqua Mariana (se ne conserva un segmento nel Parco degli Acquedotti) raccoglieva in un fosso naturale l’acqua dalle sorgenti prossime alla località “Squarciarelli” di Grottaferrata. L’opera fu progettata da un lato per garantire l’approvvigionamento idrico della cittadinanza oltre che del bestiame, dall’altro per alimentare orti e mulini della basilica di S. Giovanni in Laterano. Erano ancora in piedi agli inizi del XX secolo quelli di via della Marrana, di Porta Asinaria e dei Frangipane al Circo Massimo.
L’Acqua Mariana captava dai Castelli Romani i flussi delle antiche Aqua Tepula (così denominata a causa della temperatura piuttosto elevata alla sorgente, 16-17°, che denota l’attività ancora in corso del Distretto Vulcanico dei Colli Albani) e Aqua Iulia. La Marrana (nel dialetto romanesco “Marana”) verrà successivamente confusa, nella denominazione, con tutti quei torrenti d’origine vulcanica che solcano la Campagna Romana e che da essa via via, per metonimia, hanno preso il nome.
Avvicinandosi a Roma attraverso Porta Furba, la via Tuscolana e l’Appia, questo canale svoltava a sinistra, davanti Porta San Giovanni, per proseguire su via Sannio, via Farsalo, piazzale Ipponio, via Ipponio ed entrava nelle Mura attraverso un’apertura posta nell’antica Porta Metronia, su cui era incardinata una grata di ferro che serviva per evitare che penetrassero merci fuori controllo. La struttura di controllo venne rimossa nel 1910 a seguito dell’allargamento della cinta daziaria.
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