Al porto in attesa dell’ imbarco …
A volta dalle pagine più impensate si riesce a tirar fuori un frammento di vita quotidiana dell’antichità. Ad esempio, attraverso uno dei punti più toccanti delle Confessioni di Sant’Agostino possiamo rivivere l’attesa dell’imbarco dal porto di Ostia Antica.
Agostino, la madre Monica e il fratello erano infatti ad Ostia da alcuni giorni, cercando un passaggio per tornare a Tagaste in Africa. Purtroppo nel frattempo la madre si ammala e morirà dopo nove giorni. Il corpo resterà ad Ostia per secoli, finché il cardinale d’Estouteville non lo trasporterà a Roma nella Chiesa da lui edificata e dedicata a Sant’Agostino.
Il Santo ricorda così quel giorno: “All’avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare. Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza. “
Agostino apparteneva ad una famiglia abbastanza importante e, quindi, come molti del suo ceto, venne ospitato probabilmente da qualche amico, parente o conoscente, infatti racconta che si trovava in una casa con giardino, una domus senza dubbio, perché i giardini non erano per tutti, specialmente ad Ostia.
I meno abbienti si accontentavano delle “cauponae” per mangiare e probabilmente molti dormivano per strada. Alcuni trovavano riposo in qualche “insula” trasformata in albergo come forse quella delle Volte Dipinte.
Dimenticate quindi un imbarco veloce, non esistevano nel mondo romano compagnie di navigazione per viaggiatori, ci si doveva affidare alla disponibilità del capitano, che per arrotondare un po’ imbarcava anche qualche passeggero.
Ovviamente se eri una persona con contatti, chiedevi direttamente all’amico armatore un posto sulla prima nave disponibile.
Quindi, per potervi imbarcare dovevate arrivare al porto in anticipo, per trovare una nave disponibile e, soprattutto, nei mesi giusti, perché con la brutta stagione si evitava il mare e se ne riparlava a marzo, quando la grande festa del Navigium Isidis faceva riaprire i porti.
Una volta trovata la nave, bisognava far provviste, il vitto non era compreso e, in caso di problemi, doveva esser diviso con la ciurma. Eventuali oggetti preziosi dovevano essere affidati al capitano, che altrimenti non ne rispondeva in caso di furto, smarrimento o naufragio.
Il viaggio per mare era si più veloce, ma comunque i tempi di navigazione erano lunghi, una settimana per la Tunisia, un paio di settimane per l’Egitto o la Spagna, tre settimane per la Turchia, una quarantina di giorni per l’Inghilterra.
Prima di partire se facevano le necessarie preghiere per avere una navigazione favorevole. Il tempio più gettonato era probabilmente quello di Ercole su Via della Foce. Il dio era particolarmente venerato anche dai comandanti militari delle flotte che stazionavano occasionalmente a Ostia.
Una volta partiti, fatti i dovuti scongiuri, si sperava di arrivare sani e salvi. Purtroppo il pericolo di un naufragio era alto, mentre quello di incontrare pirati era terminato con la fine della Repubblica, quando Pompeo Magno, incaricato dal Senato della faccenda, in meno di tre mesi, riuscì a liberare tutto il Mare Mediterraneo dal temibile flagello. Facendo prigionieri più di 20.000 pirati ed eliminando 1.300 navi.
Ovviamente, essendo i Romani grandi legislatori, nel corso dei secoli formularono, partendo da precedenti greci, un complesso diritto di navigazione, che tutelava le varie parti.
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
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