Exuvia: forma latina di esuvia, ovvero l’esoscheletro lasciato da un artropode dopo la muta.
Nonchè titolo del nuovo album di Caparezza, alias Michele Salvemini, che non la sua nuova pelle torna a esibirsi dal vivo.
Pubblicato il 7 maggio 2021 dall’etichetta Polydor, Exuvia è l’ottavo lavoro dell’artista di Molfetta, e rappresenta una sorta di continuazione naturale del precedente Prisoner 709 del 2017.
Se infatti quest’ultimo raccontava con atmosfere cupe e claustrofobiche la sensazione di prigionia mentale vissuta dal rapper, derivante da una grave forma di acufene arrivatagli nel 2015 con cui si è trovato a convivere nella vita e sui palchi, lasciando, nel finale un interrogativo sulla speranza di un’evasione o l’ergastolo eterno, Exuvia riprende il discorso in un’autodichiarazione di cambiamento, di metamorfosi umana e artistica, di volo liberatorio in una forma totalmente nuova.
Questo a grandi linee il cuore dell’album, che per circa un anno, causa pandemia, non è potuto decollare nel tour dal vivo, rimandato, risorto e rinato (è proprio il caso di dirlo) il 25 giugno 2022.
Chi scrive ha avuto la possibilità di assistere alla prima data di recupero a
Bologna al Parco delle Caserme Rosse, il 27 giugno 2022…
e può assicurare che l’anno di attesa paziente è stato degnamente ripagato.
Come sempre quando si parla di Caparezza non si può dire di assistere ad un semplice “concerto”. Le sue esibizioni sono sempre state dei veri e propri spettacoli a tutto tondo con un ruolo centralissimo di costumi e coreografie, in grado di trasformare ogni brano eseguito in un minispettacolo a sè stante, con una sua atmosfera particolareggiante e unica.
Con l’Exuvia Tour questi elementi vengono se possibile ancora amplificati. Ad accogliere il pubblico c’è un’ambientazione boscosa e selvatica, che ispira quasi alla preparazione di un ancestrale rito silvestre.
La foresta d’altro canto è il luogo della perdizione e del mistero per antonomasia…
Come spiega lo stesso Caparezza dopo il primo pezzo – Canthology, incipit dell’album che ripercorre con malinconico sarcasmo vent’anni di carriera dell’artista – nella foresta ci si perde per poi ritrovare sè stessi, e questo già lo avevano capito e raccontato grandi artisti giunti “al mezzo del cammin della loro vita”, fra i trenta e i quarant’anni: ovviamente Dante, con la sua selva oscura nell’Inferno, Shakespeare con Il sogno di una notte di mezza estate e, come conclude Caparezza, Winnie the Poooh nel bosco dei 100 acri, “che cresce e si mangia Leonardo Di Caprio“.
Exuvia: lo show è un crescendo di atmosfere circensi di gusto felliniano
e non per nulla Caparezza è un grande fan del Maestro riminese, e lo stesso Exuvia pare sia nato dalla lettura di Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet, l’ultimo film mai realizzato di Federico Fellini.
Le coreografie vorticose del corpo di ballo presente sul palco, i costumui sgargianti e vivaci, le scenografie in cartapesta di puro gusto teatrale creano un clima onirico e psichedelico immergendo lo spettatore in uno show a 360 gradi che mischia le arti e amalgama il divertimento e l’emozione con maestria.
Si passa dal fungo allucinogeno gigante de Il mondo dopo Lewis Carroll (con Capa-Cappellaio Matto che dialoga con Stanconiglio-Diego Perrone), alle atmosfere cupe di Eyes Wide Shut (con i ballerini che indossano le maschere e mantelli dell’omonimo film di Kubrick) e di La Certa, dedicata alla Morte come presenza necessaria da “pensare e non cercare”, recitata da Caparezza quasi come un monologo con alle spalle una lugubre processione funebre-
E poi ancora China Town con tanto di personificazione dell’inchiostro che esce dalla sua enorme boccetta e la taranta ballata di fronte alla statua pagana del Dio Insetto, simbolo dell’Exuvia, in Vieni a ballare in puglia.
Il tutto con alle spalle l’onnipresente schermo circolare che ricorda molto quello di The Wall dei Pink Floyd, nel quale, tra le atre cose, compare Mishel Domenssain a cantare il ritornello di El Sendero.
Ma i due veri colpi di genio del tour sono le introduzioni che Caparezza riserva a Mica Van Gogh e a Vengo dalla Luna….
Due vere e proprie mini-lezioni che non sfigurerebbero in un’aula scolastica per sintesi, arguta ironia e efficacia del messaggio.
Prima il “rito di passaggio” dalla pittura di nature morte a quella di nature vive (passando ovviamente per il bosco) compiuto da Vincent Van Gogh con il suo Ragazza in bianco nel bosco, e poi il vero significato della vicenda dell’Orlando Furioso, la cui pazzia deriva dall’eccessiva fede nelle proprie idee, che lo porta a non accettare che Angelica non ami lui ma il giovane Medoro in un ottuso autoconvincimento anche di fronte all’evidenza.
Fede cieca e certezze assolute che crollano e finiscono nella follia nell’impossibilità di ascoltare il prossimo e accettare altri punti di vista. Il tutto facendo entrare in scena Astolfo, arrivato direttamente dalla Luna con il senno del paladino, annunciando l’acclamata hit del 2003.
Non sappiamo come sarà la prossima evoluzione di Caparezza, lasciata la sua precedente exuvia. Quel che è certo è che l’arte pulsa indissolubilmente nelle sue vene e che sa bene come farne dono agli altri.