Giulio Cesare fu il primo a sentire l’esigenza di “allargare” il Foro Romano. Infatti, in seguito all’incendio e alla conseguente ricostruzione della Curia, sede del Senato, iniziò a vagheggiare un nuovo e fantasmagorico Foro.
Il povero Cesare però era pieno di impegni, che lo tenevano lontano da Roma e aveva la necessità di un faccendiere che portasse avanti l’opera, un avvocato, un uomo capace di convincere anche i più riottosi a vendere la propria casa per creare lo spazio per il nuovo progetto edilizio. Chi meglio di Cicerone per un incarico del genere!
Da una lettera al fido Attico sappiamo che il nostro aveva ricevuto e presto accettato l’incarico di acquistare il terreno per l’edificazione, siamo nel 54 a. C.
Ovviamente all’epoca, come ora, una casa al Centro di Roma aveva un costo notevole e Cesare, fattosi due calcoli, aveva preventivato di spendere 60 milioni di sesterzi.
Purtroppo non aveva fatto i calcoli con la speculazione sui terreni, da Svetonio e Plinio il Vecchio sappiamo che alla fine la somma necessaria lievitò a 100 milioni di sesterzi!
I lavori poi durano a lungo, il Foro venne inaugurato nel 46 a.C., ancora non finito! Rimasto incompleto, fu alla fine terminato dal nipote Ottaviano solo dopo la morte di Cesare.
Per non sembrare poi troppo dittatoriale, pare che lasciò in pace i proprietari, che non vollero vendergli casa, creando però un po’ di problemi all’architetto, che dovette probabilmente rimettere mano al progetto e adattarlo allo spazio disponibile.
Il Foro di Cesare si presentava come una lunga e stretta piazza porticata, con uno dei lati minori occupato dal tempio di Venere Genitrice e con al centro la statua equestre di quello che poi diventerà il Divo Giulio.
Il cavallo di Cesare poi era veramente particolare, Stazio racconta che aveva le zampe anteriori a forma di “piedi umani”, particolare che lo avvicinava al celebre Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno.
Interessante e interessata anche la scelta della divinità a cui dedicare il tempio, Venere Genitrice, praticamente una di famiglia, visto che la gens Iulia raccontava di discendere da Enea, come ricorderà a tutti Virgilio col suo poema fiume qualche tempo dopo.
Il culto di Venus Genetrix, cioè colei che genera la vita e riporta la primavera e fa risorgere la vegetazione, fu particolarmente sentito da Cesare, tanto che Plinio il Vecchio racconta che per la sua divina antenata, il dittatore stabilì anche dei giochi annuali.
Che poi Venere avesse un grande seguito tra i Romani è testimoniato anche dall’inno a lei dedicato, che apre il De Rerum Natura di Lucrezio:
“Progenitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei,
alma Venere, che sotto gli erranti astri del cielo vivifichi
il mare solcato da navi e la terra portatrice di messi,
poiché per opera tua ogni specie di esseri viventi
è concepita e, appena nata, vede la luce del sole.
Te, o dea, te fuggono i venti, te le nubi del cielo
al tuo sopraggiungere, per te la terra ingegnosa
fa nascere fiori soavi, per te ride la superficie del mare
e, tornato sereno, il cielo brilla di un chiarore diffuso.
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
Leggi anche Il potere di Roma: i Fori Imperiali