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Galileo sotto processo alla Minerva

Processo Galileo
"Galileo pronuncia l'abiura del Copernicanesimo", Robert Fleury - Parigi, Museo del Louvre

Ci sono luoghi a Roma dove personaggi ed eventi lasciano tracce indelebili e cambiano il corso della Storia. Nel Rione Pigna tra via del Corso e piazza del Pantheon, a poca distanza l’uno dall’altro, si ergono i Quartier generali dei due ordini religiosi che hanno animato la diatriba tra Cattolicesimo e Ricerca Scientifica nel Seicento: Gesuiti e Domenicani. Il palazzo del Collegio Romano con l’annessa Chiesa di S. Ignazio e l’edificio  conventuale adiacente la Chiesa di S. Maria sopra Minerva sono infatti i luoghi in cui Galileo affrontò, con esiti altalenanti, il confronto con la Curia Apostolica in merito alle indagini e alle osservazioni astronomiche che stava conducendo.

Minerva
Chiesa di S. Maria Sopra Minerva, Roma

Il processo, uno dei più celebri e dibattuti nella storia dei procedimenti giudiziari del Tribunale del Sant’Uffizio, ebbe inizio il 13 febbraio 1633 nel palazzo della Minerva e si concluse il 22 giugno dello stesso anno con la condanna di Galileo per eresia e l’obbligo all’abiura delle sue teorie. L’evento non è tuttavia privo di contraddizioni e la posizione della Chiesa nei confronti dell’evidenza scientifica ha assunto connotazioni non prive di ambiguità che ancora ci invitano ad una rilettura dei fatti.

Il soggiorno romano dello scienziato, prima di giungere al triste epilogo, ha realmente avuto momenti di entusiasmante e stimolante apertura nei rapporti fra Chiesa e cultura laica. Gli stessi Gesuiti che hanno in seguito un ruolo determinante nell’ostacolare il diffondersi delle idee galileiane, possiedono osservatori astronomici sparsi in tutta Europa e accolgono favorevolmente le novità degli studi dell’astronomo e fisico pisano. Nel 1587 Galileo visita Roma e con l’entusiasmo di un ventitreenne porta i primi risultati delle sue ricerche ai Gesuiti del Collegio Romano, il centro di studi matematici e fisici più prestigioso del tempo.

Collegio Romano
Il Collegio Romano, Roma

Ne costituisce preziosa testimonianza il fitto carteggio con l’astronomo gesuita Cristoforo Clavio che rivela un iniziale riconoscimento e una sostanziale approvazione delle sue prime osservazioni. Dopo gli studi di Pisa e Padova che lo hanno condotto alla scoperta dei monti della Luna, delle fasi di Venere e alla validazione della teoria eliocentrica, nel 1611 torna a Roma proprio su invito della Compagnia del Gesù. Il clima culturale è ancora favorevole allo scambio intellettuale e ne è garante papa Paolo V che nutre simpatia e stima verso di lui.

Agli incontri organizzati non solo al Collegio Romano ma anche in ville private di monsignori, Galileo presenta i risultati delle sue ricerche e il 29 marzo 1611 il principe Federico Cesi lo accoglie nel prestigioso circolo scientifico dell’Accademia dei Lincei. Non stupisce dunque l’invito rivolto un mese più tardi agli Accademici di salire sul punto più alto del Gianicolo per mostrare le potenzialità del nuovo strumento di osservazione, il cannocchiale. Tra i partecipanti agli incontri compaiono due tra i più autorevoli sostenitori del fisico pisano: il card. Roberto Bellarmino e il card. Maffeo Barberini, futuro pontefice con il nome di Urbano VIII. Ma ben presto i venti spirano in direzione opposta e l’accoglienza si tramuta in diffidenza.

Galileo
Justus Sustermans, Ritratto di Galileo, Firenze, Galleria degli Uffizi

Il 24 febbraio 1616 le opere di Copernico vengono messe all’Indice e Bellarmino intima a Galileo di non sostenerle e diffonderle. Galileo non mostra segnali di reale apprensione. Ha ancora dalla sua parte Paolo V che lo riceve in Vaticano e lo incoraggia a proseguire nei suoi studi, ma i rapporti con la Curia si stanno facendo via via meno cordiali. Ha ufficialmente accettato di non sostenere tesi contrarie alla teoria tolemaica, ma è difficile per un uomo di Scienza rinunciare alla verità dell’Universo e, se nel 1618 nel Discorso sulle Comete critica le idee del gesuita Orazio Grassi, nel 1623 con Il Saggiatore, Galileo torna apertamente a sostenere la teoria eliocentrica copernicana.

Nello stesso anno è stato eletto papa il Barberini e, quando nel 1632 gli studi dello scienziato vengono pubblicati nel celebre Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, la convocazione davanti al Tribunale del Sant’Uffizio alla Minerva non tarda ad arrivare. Urbano VIII ha forse riconosciuto nel Dialogo la propria caricatura in Simplicio, il personaggio non illuminato dalla verità?! Galileo del resto non è nuovo a più o meno velate allusioni derisorie rivolte a prelati e personaggi della Curia. Il dileggio è probabilmente elemento non trascurabile di risentimento personale del papa verso lo scienziato.

Urbano VIII
Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Urbano VIII, Roma, Palazzo Barberini

Il processo al sessantottenne Galileo si svolge con insolito riguardo e senza uso di tortura; a garantire il trattamento di favore stavolta è il nipote del papa, il card. Francesco Barberini. L’interrogatorio, che inizia nell’aprile del ’33, si conclude con la sentenza emessa nel Convento della Minerva e la condanna al carcere e all’abiura. Da Siena a Firenze Galileo trascorre gli ultimi anni di vita agli arresti domiciliari, ma le sue teorie continuano a circolare negli ambienti accademici e il dibattito resta acceso all’interno degli  stessi ordine dei Gesuiti e dei Domenicani.

Contrariamente alla visione più monocroma che attribuisce ai Domenicani, nel ruolo di Inquisitori del Tribunale, la maggiore responsabilità dell’esito del processo, siamo attualmente più inclini a ritenere l’Ordine di S. Domenico un mero strumento nelle mani di cardinali e pontefici. Non sarà allora un caso il fatto che proprio un domenicano, Louis Dominique Dubarle, sia stato tra i primi a chiedere la revisione al processo a Galileo durante il Concilio Vaticano II. In fondo in questa vicenda processuale le controversie scientifiche e dogmatiche sono forse minoritarie rispetto a situazioni di risentimento personale, cui neanche le più illuminate menti hanno mai potuto sottrarsi.

Tiziana Bellucci

Tiziana Bellucci

Laurea in Lettere all’Università di Roma “La Sapienza”, con indirizzo storico-artistico. Ha svolto attività didattica e di ricerca come “Cultore della materia” per la Cattedra di Critica d’Arte, presso il Dipartimento di Storia dell’Arte della Facoltà di Lettere alla Sapienza. Guida turistica abilitata per Roma e provincia, da anni svolge attività di promozione culturale nell’area di Roma e nel territorio della Tuscia dedicando particolare attenzione agli aspetti della storia dell’arte medievale e rinascimentale. È docente di ruolo nella scuola pubblica.

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