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Hermann Nitsch – L’Arte Totale come rito di purificazione

Hermann Nitsch
Hermann Nitsch - ph. Daniela Neuhofer

Hermann Nitsch è morto.
All’età di 83 anni se ne va uno degli artisti più influenti e controversi del Novecento. Sempre nel mirino dell’opinione pubblica, Nitsch è stato un artista difficilmente etichettabile: pittore, compositore, performer, ha sempre rincorso lopera d’arte totale, quel concetto derivato direttamente da Wagner dove:

la poesia diventa pittura, la pittura diventa poesia, la musica diventa azione e la pittura d’azione diventa teatro“.

Nato a Vienna nel 1938, Hermann Nitsch è stato per molti, ed in molti casi, un artista austriaco, erede di una tradizione culturale che da Klimt porta fino ai nostri giorni passando per Freud, per Mozart, per Schönberg, per Nietzche (sebbene non fosse austriaco ma tedesco). Nonostante ciò era convinto della necessità di superare le arti nazionali per il raggiungimento di un arte mondiale, che non fosse confinata nei nazionalismi culturali.
Certo lui stesso, come dichiarato ad Artribune nel Novembre del 2017, si sentiva influenzato dalla cultura austriaca ed in maniera più estesa mitteleuropa, “è una tradizione culturale che riconosco” ma i suoi riferimenti andavano al dì là delle nazioni di lingua tedesca: la tragedia greca, il Marchese de Sade, Antonin Artaud.

Diplomato all’Istituto Grafico Sperimentale di Vienna, l’artista ha iniziato nell’ambito della cultura Informale per poi diventare uno dei fondatori, nonché uno dei massimi interpreti, dell’Azionismo Viennese, una delle forme più estreme e cruente della Body Art europea.
Il corpo diventa così il protagonista assoluto. È il medium pittorico capace di incarnare contemporaneamente la tela ed il gesto che vi schizza il colore sopra, fino a diventare lo strumento ed al tempo stesso il simbolo dell’espiazione da tutti i mali.

Hermann Nitsch
Hermann Nitsch – Photo by David Visnjic

L’Azionismo Viennese

Con Günter Brus, Otto Muehl e Rudolf Schwarzkogler, Nitsch cerca una prima forma di purificazione, concetto che, a discapito di quanto si possa pensare, professerà durante tutta la sua carriera artistica, tramite gesti estremi e disturbanti che arriveranno fino all’autolesionismo.
Tutti questi artisti infatti fanno parte della generazione post-bellica, e si portano dietro i “sensi di colpa” derivati non tanto dalla loro nazionalità (Hitler era austriaco) ma dalla loro appartenenza culturale che li aveva collocati dalla parte “sbagliata” della storia. Per questo motivo inseguono la liberazione, freudianamente intesa, da ottenere tramite la repulsione, il gesto che simboleggia il rifiuto e per questo purifica.
Gli azionisti proiettano tutta l’aggressività del mondo su sé stessi, accanendosi sul proprio corpo, incarnando in questi gesti il rifiuto ad adeguarsi alle regole moralistiche imposte dalla società borghese fino ad autoliberarsi da quelle costrizioni.

Pioniere della nascente Performing Art, durante questa fase Nitsch comincia a concepire il concetto di rituale catartico. Fortemente influenzato dal teatro greco, il corpo viene messo alla prova fino al limite ultimo della propria resistenza, viene degradato e oltraggiato. Il gesto si fa sempre più estremo e sistematico e il dolore viene costantemente evocato, anzi cercato, per ottenere la purificazione.

Nel 1957 Nitsch raggiunge finalmente quell’esperienza totalizzante dell’arte. Totale perché si realizza attraverso il sincretismo dei campi e delle discipline più disparate, ma anche per lo spettatore che viene coinvolto al pari dell’attore, attraverso la stimolazione di tutti e cinque i sensi: l’Orgien Mysterien Theater (il Teatro delle Orge e dei Misteri).

Il Teatro delle Orge e dei Misteri

In questo Teatro derivato direttamente dal Teatro della Crudeltà di Artaud, il gesto masochistico degli inizi viene inquadrato all’interno di una performance rituale e collettiva. Solo che questa volta non è più il corpo umano a dover espiare e a doversi purificare, ma secondo una logica prettamente religiosa (che l’autore definirà laica poiché non appartenente a nessuna fede) è l’animale ad essere sacrificato. Gli attori-adepti vengono coinvolti in operazioni di sventramento di carcasse di pecore o vitelli fino a ricoprire i propri corpi con le interiora sanguinanti dell’animale, il tutto seguendo una ritualità liturgica con tanto di ostensori, croci, pianete e paramenti.
Come un novello baccante in preda ad un furor dionisiaco, ogni attore sventra le carni, calpesta il sangue versato e permea se stesso di quello stesso odore, di quel puzzo derivato dallo spargimento delle sostanze organiche animali. È al centro di una esperienza sinestetica totale. In questo stato di alterazione derivato dall’eccitazione sensuale e dall’eccesso sfrenato si arriva all’abreazione: una scarica emozionale che permette di rimuovere gli effetti di un avvenimento drammatico. La liberazione è giunta.

Queste performance di carattere orgiastico-rituale che potevano durare giorni (a volte fino a cinque giorni) erano consacrate al sangue, elemento primordiale e simbolo iniziatico, il solo in grado di iniziare l’adepto ai Misteri della vita e della morte. Grazie a sensazioni e stimoli tattili, olfattivi, visivi, acustici e addirittura gustativi, l’adepto ormai purificato poteva liberare il proprio corpo ed il proprio spirito da ogni forma di tabù sessuale e religioso.

Questo tipo di aktion così eccessive e disturbanti hanno portato, in più di un’occasione, all’intervento delle forze dell’ordine, arrecando a Nitsch numerose denunce, processi, tre condanne al carcere e addirittura un’espulsione, proprio dall’Italia nel 1974.

Hermann Nitsch
Hermann Nitsch

La querelle con gli animalisti ed il ritorno alla pittura

Hermann Nitsch ha sempre spaccato l’opinione pubblica. I conservatori lo criticavano per il carattere orgiastico-rituale delle sue performance. Gli animalisti per l’utilizzo di carcasse ed interiora di animali a cui “veniva tolta la dignità”. C’è chi lo vedeva come un sacerdote in grado di procurare la catarsi dell’essere umano, e chi invece è rimasto vittima di un senso di disagio e di disgusto che quelle stesse performance gli avevano suscitato.

La querelle con gli animalisti, specie in Italia, ha caratterizzato tutta l’ultima parte della sua carriera. In risposta alle accuse l’artista, che si è sempre definito un animalista egli stesso, ha più volte dichiarato che acquistava le carcasse animali dai macelli, e che dopo la fine delle performance le carni venissero mangiate, e non martoriate e basta. Scriveva in una lettera ai suoi contestatori palermitani:

“Resto profondamente offeso dal fatto che la mia attività artistica, che dovrebbe rendere più consapevoli, venga invece considerata brutale e crudele.”

In Italia, a Napoli in particolare, l’artista aveva trovato una casa e un museo a lui dedicato dall’amico gallerista Beppe Morra. Dagli anni ’80, Nitsch era ritornato alla pittura ed aveva trasferito tutto il gesto rituale del Teatro sulla tela con la vernice rossa che evocava il sangue, con gli attori adepti pronti a spargerla e cospargersene dappertutto, superando così l’Informale e vivificando l’action painting.

Insomma tramite un’estetica, per molti dell’orrore, capace di riportare l’arte alla sua dimensione esperienziale più ampia, quella purificatrice e pacificatrice dell’essere umano, Hermann Nitsch ha saputo vivificare l’archetipo stesso del rituale.
Ha obbligato lo spettatore a prenderne parte, interdicendolo dal suo stato voyeuristico di mero osservatore ma coinvolgendolo anche solo emozionalmente, facendo così a pezzi quella barriera che ci separa dalla dimensione artistica.

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Circa l'autore

Francesco Ricci

Francesco Ricci

Dopo aver studiato al Liceo Classico, si laurea nel 2009 in Storia dell'Arte Moderna e nel 2012, con lode, in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'università la "Sapienza" di Roma. È insegnante di storia dell'arte nei licei e guida turistica abilitata. Ama scrivere, viaggiare, e nutre una grande passione per l'arte, il cinema e la musica.

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