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I Sonderkommando: testimoni e fotografi dell’orrore

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Campo di concentramento Auschwitz Birkenau

È il 4 luglio del 1942 quando ad Auschwitz viene creato il primo Sonderkommando, ovvero quella “squadra speciale” di deportati, in gran parte ebrei, incaricati, o meglio obbligati dalle SS naziste a collaborare nell’attuazione di quel massacro di massa da loro così meticolosamente progettato.

Il lavoro dei Sonderkommando consisteva nel manipolare e gestire a mani nude la morte dei propri simili, un compito avvilente e disumano atto a dimostrare che solo gli ebrei, in quanto razza e popolo inferiore e parassita “si piegano ad ogni umiliazione, perfino a distruggere se stessi” (Primo Levi, I sommersi e i salvati).

Questi ‘agenti speciali’ dei campi di sterminio erano costretti a mentire, non potendo informare i loro compagni della fine che da lì a poco li avrebbe attesi; assistevano impotenti all’ingresso di donne e bambini nelle camere a gas e alla loro vicina e inevitabile agonia; svuotavano le camere dai cadaveri che trasportavano e introducevano poi nei forni crematori; raccoglievano e disinfettavano i vestiti delle vittime; pettinavano masse di capigliature.
Queste sono solo alcune delle disumane mansioni svolte ogni giorno dai Sonderkommando e che Filip Müller, scrittore slovacco di origine ebraica, membro della “squadra speciale” di Auschwitz descrive in modo estremamente crudo e dettagliato.

Il momento più terribile era l’apertura della camera a gas, una visione insostenibile: la gente, schiacciata come del basalto, blocchi compatti di pietra. Come crollavano fuori delle camere a gas! Più volte l’ho visto. Ed era la cosa più dura. A questo non ci si abituava. Era impossibile. Si. Bisogna immaginare(…).”

Alcuni di questi “addetti speciali” senza ormai più la forza di resistere si gettavano sul filo spinato o tra le fiamme che si alzavano da quei roghi umani allestiti nelle fosse di incinerazione all’aria aperta. Ma se da un lato c’era la resa, lo sfinimento e la volontà di mettere fine alla visione di quegli orrori, dall’altro, in alcuni di questi lavoratori si fece sempre più viva e forte la volontà di lasciare una testimonianza di tutto ciò che stava accadendo, di rendere nota al mondo l’atrocità di quello sterminio così abilmente programmato.

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Alcuni membri dei Sonderkommando impegnati nei loro “lavori”

Ed è cosi che in un giorno d’estate del 1944 i membri del Sonderkommando decisero di scattare qualche fotografia per documentare ciò che stava avvenendo all’interno del campo. Stando alle testimonianze di Hermann Langbein, prigioniero politico nel campo di Auschwitz Birkenau, una macchina fotografica fu consegnata di nascosto da un operaio civile ai membri del Sonderkommando che vestendo i panni di fotoreporter improvvisati, misero in atto una vera e propria strategia collettiva.

Ed ecco che dall’interno oscuro della camera a gas appena liberata dai corpi, un ebreo di origine greca di nome Alex, scattò le prime due fotografie. In particolare, la seconda di queste due immagini appare più ravvicinata rispetto alla prima e mostra evidentemente una presa di coraggio da parte di questo fotografo improvvisato che, se in un primo momento viene travolto dalla paura per il timore di essere visto, scoperto e ucciso, decide poi di farsi forza e di avanzare ancora per riuscire ad inquadrare meglio uno stralcio di quell’inferno dantesco che si stava animando dinnanzi ai suoi occhi.

Entrambe le immagini immortalano alcuni membri dei Sonderkommando impegnati a spostare, trascinare e accatastare i cadaveri dei loro simili sullo sfondo di una coltre di fumo che si eleva dalle fosse di incinerazione.
Potremmo a questo punto riportare altre parole molto forti di Filip Müller.

“Alle prime luci dell’alba demmo fuoco alle fosse in cui avevamo ammucchiato circa duemilacinquecento corpi; due ore dopo erano irriconoscibili. Le fiamme incandescenti avvolgevano un’infinità di tronchi carbonizzati e disseccati. (…) Le volute di fumo oscuravano l’aria diffondendo un odore d’olio, di grasso, di benzolo e di carne bruciata.”

In queste fotografie si intravede dietro il boschetto di betulle, verso cui Alex si diresse per rapire altre due immagini di quella terribile quotidianità. L’inquadratura è storta, l’immagine tremolante, sfocata e poco nitida: tutti elementi che ben sanno esprimere, l’estemporaneità e l’impossibilità di quelle foto, scattate probabilmente senza guardare, senza mai fermarsi di camminare.

Nella prima si possono scorgere nell’angolo inferiore sinistro alcune donne nude che incedono probabilmente verso il tragico destino delle camere a gas, mentre sulla destra si può riconoscere un camino di un forno crematorio.
Nel secondo scatto si intravedono invece soltanto alberi, quelle betulle che diedero il nome al campo di Auschwitz, denominato per questo Birkenau, e che ad un primo sguardo potrebbe apparirci inconcludente, vano, privo di una vera e propria immagine utile a fornire una testimonianza di quelle crudeltà.

Ma in realtà questa fotografia si mostra capace di esprimere una miriade di emozioni provate in quel momento da Alex: la paura, l’ansia, il rischio, la fretta, l’impossibilità di eseguire un’inquadratura perfetta che risulta priva infatti di un giusto orientamento.
Questo piccolo pezzo di pellicola, sarà poi estratto e portato al di fuori del campo grazie ad un’impiegata della mensa delle SS e giungerà alla resistenza polacca di Cracovia.

Dunque questi uomini, con grande coraggio e tenacia, riuscirono a portare a termine la loro missione: quella di imprimere per sempre su dei pezzi di carta, soltanto alcuni stralci di quella quotidianità infernale che tutti i deportati furono costretti a subire nel corso dei lunghi anni della Shoah. Queste fotografie, quindi, come le varie testimonianze scritte sono in grado di illustrare solo una piccolissima parte di una realtà molto più grande, più cruda e più spaventosa e che, come dice Filip Müller, resta solo che da immaginare.

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Sara Gianfermo

Sara Gianfermo

Laureata in Storia dell'arte all'Università degli studi di Roma Tre, con tesi in Archeologia Cristiana. Appassionata del mondo dell'arte e dell'archeologia ha lavorato come guida turistica presso varie associazioni culturali.
La sua formazione scolastica a indirizzo artistico le ha permesso di coltivare la sua passione per l'arte sperimentando le tecniche del disegno, della pittura, dell'affresco e del mosaico.
Amante della cucina e della pasticceria tanto da cimentarsi nella creazione di gustose ricette.

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