Atmosfera fiabesca di un tempo sospeso, colli coperti di lavanda che sembrano quasi una trasposizione in 3D di un quadro di Paolo Uccello e magiche apparizioni in pietra. Difficile resistere al fascino di Tuscania, signora della Tuscia, elegante e discreta che ad ogni edificio, slargo o facciata sa raccontare un passato di grande prestigio.
Ed è proprio questo fascino antico ad aver calamitato l’attenzione di grandi registi che l’hanno scelta come sfondo di alcuni capolavori cinematografici: dall’indimenticabile Uccellacci e Uccellini, pellicola del ’66 di Pasolini, celebre per il clima sognante e surreale oltre che per la presenza di Totò, all’altrettanto stravagante visionaria Armata Brancaleone di Monicelli, fino allo struggente e poetico Romeo e Giulietta di Zeffirelli.
Tuscania si lascia scoprire e si rivela pian piano offrendo di sé scenari storici diversi e sfidando i visitatori in una sorta di “caccia al tesoro”. Sì, perché in prima battuta si mostra nel suo ruolo di grande centro religioso e commerciale di epoca etrusca, partendo proprio dalle testimonianze emergenti nelle sue numerose necropoli da cui provengono sarcofagi in nenfro e in terracotta, oggetti e suppellettili in bronzo e oro. L’architettura funeraria è testimone di una città fiorente, più estesa di quella attuale e centro tra i più attivi dell’Etruria meridionale interna. Per chi poi abbia voglia di indagare sull’etimologia del nome, è noto che per i romani Tusc- è la radice antica con cui si appellavano gli Etruschi e allora il termine romano di Tuscana potrebbe essere la derivazione diretta dall’etrusco Tuschna.
Seguendo il sentiero delle curiosità linguistiche, non passa però inosservata l’anomala comparsa di una denominazione alterata della città che nel Basso Medioevo diventa ufficialmente Toscanella, termine con il quale sarà nominata fino al 1911. Perché l’aulico nome di Tuscania sarebbe stato convertito in un diminutivo dal sapore vagamente riduttivo del valore stesso della comunità cittadina?! Siamo allora invitati a leggere un’altra pagina di storia quando, come Libero Comune, al confine tra possedimenti della Chiesa e quelli imperiali, talvolta ostile al potere papale, Tuscania è vista come città inaffidabile per la Chiesa e, se all’inizio del Duecento papa Innocenzo III la sottomette, successivamente Bonifacio VIII umilia la sua indole ribelle con il sopracitato nome Toscanella… anche i papi affibbiavano dunque dei nomignoli per dispetto?!
E la caccia al tesoro continua sul colle di S. Pietro, antica acropoli della città prima etrusca e poi romana, che ci accoglie con uno scenario emozionante capace di raccontare altri momenti storici fondamentali per Tuscania.
Su uno spazio erboso si staglia la facciata della basilica di S. Pietro, uno degli edifici romanici più rappresentativi dell’arte medievale italiana. A creare un senso di mistero e di magica apparizione, interviene il repertorio di rilievi, protomi e dettagli plastici che dialogano con le antistanti torri difensive risalenti al XII secolo, isolate in questo metafisico scenario pianeggiante come fossero scacchi appena mossi dalla mano di un abile giocatore. Allora il colle sacro racconta il suo passato di cittadella fortificata, cuore del potere vescovile dell’antica città, autentico fortilizio dove coincidevano i concetti di sovranità spirituale e politica.
E se a difendere dai nemici c’erano le torri di pietra, a proteggere dal Male dell’Umanità, rappresentato in facciata da volti demoniaci, si schieravano evangelisti con angeli, santi e l’Agnus Dei, simboli del Regno del Bene. Mentre analizziamo le bizzarre e fantasiose presenze in pietra, percepiamo un repertorio ricco di linguaggi artistici multiformi di origine lombarda, umbra, romana e persino normanno-sveva, indizio della presenza di maestranze legate all’Imperatore Federico II, Stupor Mundi e illustre committente di svariati cantieri nella limitrofa regione umbra.
Prima di lasciare il colle, lo sguardo viene catturato da un altro magnifico esempio di architettura sacra romanica, la Chiesa di S. Maria Maggiore e la dedica alla Vergine ribadita dall’iconica rappresentazione in pietra sul portale centrale, dove una ieratica Vergine con bambino campeggia in una collocazione goffa e improbabile e l’aulica simbologia di una Sades Sapientiae convive con il maldestro tentativo di recupero e adattamento di materiali, procedimento tipico dell’arte medievale.
Quando infine decidiamo di proseguire la nostra passeggiata nell’abitato di Tuscania, certi di incontrare esclusivamente il volto medievale della città, un altro scenario urbanistico e alcuni indizi, come l’iscrizione sulla facciata della Chiesa di S. Giacomo, ci costringono a fare un grande salto cronologico e a percepire l’atmosfera della stagione rinascimentale recante l’inconfondibile impronta urbanistica e architettonica dei Farnese e del Card. Gambara, affiliato farnesiano, Vescovo di Tuscania e promotore, per conto della Casata farnesiana, di politiche urbane e territoriali caratterizzanti l’intero territorio della Tuscia.
La passeggiata densa di storia non ha fortunatamente attutito i nostri sensi. Eh sì… stavolta passeggiamo lasciandoci guidare solo da un indizio olfattivo, la scia del profumo di lavanda emanato da candele, saponi e colonie di un elegante negozio di souvenirs…