Il Bernini
Siamo nel 1667 e Alessandro VII Chigi, voleva abbellire Piazza della Minerva. E chiede perciò a Gian Lorenzo Bernini un monumento adeguato e nasce così il ”pulcin della Minerva”, come i romani chiamarono presto l’opera.
Come tutti sanno, Roma è come il maiale, non si butta via niente. In questo caso il “riciclo” vide protagonista uno dei piccoli obelischi che decoravano l’Iseo Campense, il gigantesco tempio dedicato ad Iside, che si trova sotto e nei dintorni di Santa Maria della Minerva.
L’accostamento Iside\Maria aveva creato in passato dei problemi, erano troppo simili tanto da suggerire sovrapposizioni, così papa Gregorio Magno nel VI secolo pensò bene di far demolire i resti del tempio di Iside, per evitare culti impropri.
Nei secoli successivi parti dell’edificio tornarono alla luce e nel 1665 proprio il piccolo obelisco, rispuntò come un cavolo nel giardino del Convento dei Domenicani, annesso alla chiesa.
Il triangolo delle Bermuda
Alessandro VII voleva omaggiare la Divina Sapienza, ponendo l’opera al centro del “triangolo delle Bermuda” della cultura romana, i cui vertici erano il Convento dei Domenicani, i “cani del Signore” che da secoli combattevano le eresie attraverso la Santa Inquisizione e che usavano la piazza per gli Autodafé’, il novello Convento dei Gesuiti, anch’essi in prima fila contro gli eretici, ma con un approccio meno oscurantista e infine la sede per eccellenza della Sapienza, l’Università di Roma nei pressi di Piazza Navona.
Bernini quindi parte dall’obelisco, sfoglia il romanzo “Hypnerotomachia Poliphili” di Francesco Colonna, testo misterioso e ricco di illustrazioni particolari, va a far due chiacchiere con quello che era all’epoca il più sapiente degli uomini e studioso di antichità egiziane, il Gesuita padre Atanasio Kircher e creò questo grazioso capolavoro, realizzato poi in marmo dall’allievo Ercole Ferrata.
“Ci vuole una mente robusta, per sostenere una grande sapienza”: così recita l’iscrizione su quello che è senza dubbio il più curioso monumento del Barocco romano.
Inoltre, il Bernini con l’elefantino prese posizione in maniera artistica nello scontro che vedeva coinvolti Gesuiti e Domenicani. Non è un caso che l’elefante dia le terga al convento dei Domenicani e la proboscide indichi chiaramente il retro. Il fatto venne inoltre spiegato anche da un celebre epigramma di Ludovico Disergia: “Vertit terga Elephas, versaque proboscide clamat: Kiriaci fratres hic ego vos habeo (L’elefante volge le terga e grida con la proboscide rivolta all’indietro: frati domenicani, qui mi state)”.
Probabilmente l’irriverente omaggio era forse anche un modo per ricordare e censurare il processo di Galileo Galilei che, ospite del Convento dei Gesuiti, si recava per essere giudicato nel Convento dei Domenicani passando proprio per la piazza poi occupata dall’elefantino.
Letteratura contemporanea
Ancora oggi l’Elefantino è fonte di ispirazione ed è diventato, infatti, il confidente di Adua, la protagonista dell’omonimo romanzo di Igiaba Scego, una giovane scrittrice romana di origini somale e moderna “sapiente” impegnata nel dialogo tra culture e mondi distanti.
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