Dalì, il visionario surrealista, dipinge “Il Cristo di San Juan de la Cruz” nel 1951. L’olio è ispirato al Crocifisso di San Giovanni della Croce. Il mistico spagnolo scomparso nel 1591. La sua particolarità è nell’impostazione del soggetto. È raffigurato di lato e dall’alto, un’angolazione inusuale.
L’opera di Dalì è scandita in due parti. Nella sezione superiore la croce e Cristo, monumentale e atemporale, sono inquadrati dall’alto.
In risalto le forme plastiche della nuca, delle spalle, del capo reclinato. Come se guardasse l’accadere terreno. Sospeso fra cielo e terra. L’ombra delle braccia sull’orizzontale della croce incrementa la visione esterna che Cristo può contenere. La stessa ombra sottolinea la fisicità e la tensione del corpo sospeso. Esaltato dalla luce trascendente che invade il quadro da destra per chi guarda.
Dalì elimina chiodi, ferite e sangue. Dal corpo rimuove qualsiasi segno di violenza dettata dalla Passione. Perché’ non vuole rimarcare i segni del dolore della crocifissione, come aveva fatto Matthias Grunewald. Ci risparmia gli orrori della crudele agonia. La deformazione del corpo moribondo di Cristo causata dalla tortura della croce. Inserendolo nella compatta oscurità del cielo ne esalta la connotazione metafisica, rendendolo appunto monumentale e atemporale. Al di là di ogni aspettativa religiosa.
Nella sezione inferiore della tela Dalì dipinge un paesaggio umanizzato: l’azzurro, le nuvole, i colli, la riva, l’acqua, l’imbarcazione, le figure: tutti elementi illuminati dal bagliore che arriva da Cristo. Ma non siamo di fronte ad un’ambientazione terrena. Semmai, ultraterrena. Ad un universo ancora una volta, atemporale. Immerso nel mare della tranquillità.