Passeggiando per Borgo Pio, all’angolo con Vicolo del Campanile si nota sul muro una strana decorazione. Si tratta di un cerchio di una decina di centimetri di diametro. Che cosa sarà ?
Pare si tratti di una misura per le pagnottelle. Circola, infatti, da secoli attorno a questa forma una storia non confermata.
Durante una feroce carestia di un anno non precisato, i fornai avevano iniziato a cuocere pagnotte sempre più piccole. Il papa allora, per evitare frodi, decise di mettere fuori da tutti i forni l’unità di misura per il diametro del pane, in modo che l’acquirente potesse controllare in tempo reale il proprio acquisto. Questa di Borgo Pio sarebbe l’unica superstite!
Un caso curioso è anche, a proposito di panettieri, l’alto numero di panificatori tedeschi presenti in città durante il Rinascimento. Fenomeno che ha interessato anche altre grandi città europee.
La presenza germanica prende piede nel Quattrocento, quando col ritorno di Martino V in città si crea l’Unione dei Fornai tedeschi, con cappella a Santa Maria dell’Anima. Unendosi poi ai calzolai, sempre tedeschi, anch’essi numerosi, costruirono alla fine del secolo una propria chiesa (ora scomparsa), dedicandola a Santa Elisabetta. All’epoca di Innocenzo VIII sarà ufficialmente creata l’Universitas di questi artigiani.
Pare che oltre che ottimi panificatori fossero anche dei formidabili bevitori e per questo venivano messi in burla durante il Carnevale attraverso la maschera di Cascherino, garzone perennemente ubriaco a cui cadevano dalla cesta tutte le pagnotte.
Nei secoli a seguire e fino agli anni’50 del secolo scorso “cascherino” sarà a Roma il nome dei garzoni dei fornai.
Altra caratteristica dei forni romani in epoca papale era la presenza di una forcella in alto accanto all’ingresso. Si trattava di un poggia alabarda. Pare, infatti, che in caso di carestia fosse assicurata la presenza di una guardia svizzera a protezione del forno. Da qui il detto “appoggiare l’alabarda”, per dire che qualcuno si è ben sistemato, dato che il sostentamento del soldato era a carico del panettiere.
A Via Due Macelli, è ancora visibile il curioso portone di un antico forno decorato con pagnotte, una delle quali ridotta a metà dal fornaio, forma originale di protesta da parte del panettiere, che non gradiva di dover sfamare lo svizzero di guardia.
Gigi Zanazzo nel suo “Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma” racconta che c’era ancora qualche fornaio “antico, antico” che ai suoi tempi teneva in fondo alla bottega un’alabarda.
La confraternita dei panificatori romani sarà creata ai primi del Cinquecento, (per arginare la concorrenza tedesca?), ed è tuttora attiva come Pio Sodalizio nella sede della chiesa di Santa Maria di Loreto al Foro di Traiano.
Fino a qualche tempo fa la Madonna era omaggiata con delle splendide rosette fresche di forno, ma pare che l’usanza si sia interrotta da qualche anno.
Una grande scomparsa dall’universo panificatore romano è invece quella della “ciriola”, sostituita prima dalla nordica rosetta e poi da pani sempre più sofisticati. Era un piccolo pane dalla forma allungata e del peso di circa 100 g, tipico degli operai, che veniva spesso imbottito con la mortadella.
Il nome derivava dalle omonime anguille del Tevere e anni fa la sua scomparsa venne addirittura lamentata in un articolo di David Winner sul famoso Financial Times!
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