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Il Foro Italico, l’esaltazione della competizione

foro italico
Stadio dei Marmi. Particolare

Il Foro Italico

Il Foro Italico nasce in un periodo molto complicato della storia del nostro paese.
Il suo principale obiettivo era quello di esaltare i valori della dittatura fascista che stava dispiegando proprio in quegli anni tutte le sue forze.
il complesso di stadi, campi sportivi e piscine doveva chiamarsi Foro Mussolini.
Tra tutti gli edifici e i quartieri sventrati e ricostruiti sotto il periodo fascista, all’interno del progetto più ampio di rinnovamento e trasformazione della città in una “capitale moderna”, perché proprio un insieme di impianti sportivi era stato scelto per portare il nome del dittatore?

Il fascismo si è caratterizzato per una radicale ristrutturazione del tessuto urbano di Roma (si veda via dei Fori Imperiali con lo smantellamento del quartiere Alessandrino) e per la costruzione ex novo di interi quartieri come l’EUR, eppure non c’è nessun altro luogo che meglio sintetizza il messaggio ideologico del regime che il Foro Italico.
Le vibranti architetture razionaliste fatte di nudi pilastri che svettano verticali, lisci e freddi, si mescolano alle morbide curve dei corpi marmorei degli atleti realizzati per lo Stadio dei Marmi progettato da Del Debbio.

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Stadio dei marmi

Nel Foro Italico più che in altri luoghi il razionalismo fonde la sua freddezza al richiamo dell’antico e all’evocazione della magnificenza dell’impero romano.
I mosaici in bianco e nero di Gino Severini, raffiguranti i simboli e le discipline sportive, ricordano per la loro bicromia quelli che si possono osservare ancora oggi ad Ostia Antica o nella parte meno nobile di Villa Adriana (l’hospitalia).

Questo richiamo continuo all’antico come prefigurazione del nuovo futuro che voleva o aveva la pretesa di essere forte e radioso, è forse ciò che più di tutto il resto sintetizza la teoria del potere di Mussolini.

Cos’è d’altronde che ancora adesso rammenta nell’immaginario collettivo la forza di Roma se non il combattimento dei gladiatori?

L’area nasce a ridosso del crinale della Collina Monte Mario, sulle sponde del Tevere, nei pressi di una zona ricca di storia come Ponte Milvio, da dove si biforcano le due consolari, la Cassia e la Flaminia.
Questo luogo sospeso tra i parchi del colle e l’imbocco di Roma Nord, esprime perfettamente “il contrasto del verde dei pini e il blu del cielo con il bianco delle statue e delle architetture” celebrative delle conquiste del regime.

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Lo sciatore. Foro Italico, Stadio della Pallacorda

La scultura e l’arte sportiva: il culto dello sport

Uno dei principi guida dello Stato fascista fu la pratica sportiva come educazione fisica al fine di esaltare la forza e la virilità. Inoltre lo sport fu posto a fondamento dell’istruzione di massa e applicato all’educazione sia femminile che maschile.

La rivoluzione culturale degli italiani auspicata dal dittatore passa attraverso la rivalutazione e la diffusione della pratica sportiva alle masse. Fino ai primi anni del XX secolo lo sport era infatti una pratica elitaria e solo con l’esaltazione del corpo e della prestanza fisica centrale nella propaganda fascista questa pratica divenne un’abitudine sociale diffusa e riconosciuta. Fu in fondo l’impalcatura su cui costruire un’identità nuova che potesse allontanarsi almeno in parte dai miti del Risorgimento (che lasciavano qualche perplessità vista la figura di Garibaldi che era stato sansimonista).

Quale migliore allegoria dell'”uomo nuovo fascista” se non quella dell’atleta che spinge il proprio corpo al massimo per l’esaltazione del pubblico sugli spalti, della propria patria e della nazione?

Il Fascismo, ventata di giovinezza, gagliardia meravigliosa di nervi tesi e di spiriti elevati alla bellezza, al sole, alla luce, temprato alla lotta come alla dolcezza, vigile e pronto a tutte le manifestazioni materiali e spirituali della vita ha ben compreso che, col cervello, una nazione deve assolutamente educare il fisico del suo popolo ( Jadar, « Educazione fisica e fascismo », Lo Sport fascista, III, 4, 4 Aprile 1931, p. 55.)

Competere

Ma ora torniamo ai giorni nostri, cosa significa competere? Essere in gara?

Il concetto di competizione è un concetto ambiguo e sfuggente che tocca varie aree di significato. Si può competere infatti per un posto di lavoro, si può competere sul mercato, come si può competere in una gara sportiva (competizione sportiva per l’appunto) o per un posto in Parlamento.
Competere significa “cercare di superare qualcuno o qualcosa”, può essere relativo a squadre o a partiti politici rivali, ma anche agli individui se devono raggiungere una meta ambita che non può essere condivisa con altri.
Competere porta in sé il concetto di lotta e di battaglia, di scontro e raggiungimento faticoso di un obiettivo, qualcosa che comporta dei vincitori e inesorabilmente degli sconfitti.

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Eraclito. Particolare della Scuola di Atene, Raffaello, 1509-11. Stanza della Segnatura, Musei Vaticani.

Questa visione (condivisa con il fascismo e con tutte le dittature che esaltano il corpo fisico) ha in realtà radici più antiche di quanto sembra. Già nel VII a.C Eraclito affermava:

«polemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte re» (DK 22 B 8)

La guerra dunque (stando all’interpretazione più immediata) è alla base di tutte le società.
Ma nel pensiero di Eraclito questa “guerra” non è (o almeno non è solo) una lotta per accaparrarsi qualcosa, ma una legge (un logos) che regola le cose e la loro continua trasformazione.
Niente rimane sempre uguale a sé stesso per Eraclito tutto muta nel suo opposto.
Il giovane diventa vecchio e la vita diventa morte così come l’aria diventa acqua.
La guerra di Eraclito sta dunque a significare il continuo mutare delle cose e la loro costante distruzione in qualcosa di completamente diverso tanto che lo definisce “opposto”.
La guerra degli opposti mostra infatti più lo sforzo che dobbiamo fare per mantenere qualcosa (uguale a se stesso) piuttosto che una vera battaglia contro un nemico esplicito.
È come dire “la vita non è facile”, perché produce continui mutamenti ai quali dobbiamo per forza adattarci.

Questa visione a suo modo cruenta dell’esistenza proveniva probabilmente dall’esperienza biografica del Filosofo. Mileto città fiorente e forte era andata inesorabilmente distrutta e così anche la sua Efeso stava declinando pian piano.

D’altronde la riflessione sulla guerra e sul conflitto non è un tema estraneo alla filosofia se Hobbes era convinto che gli uomini sono ontologicamente portati a farsi la guerra tra loro nella famosa

bellum omnium contra omnes” (Il Leviatano)

Più di dieci secoli prima Sant’Agostino sosteneva che fare la guerra è una felicità per i malvagi, ma per i buoni una necessità. E’ ingiusta la guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria. In tutti questi casi la guerra va considerata un brigantaggio in grande stile.

Dopotutto secondo Locke gli uomini sono naturalmente portati al reciproco rispetto e solo situazioni critiche comportano l’uso della violenza e della guerra.

La passeggiata

Vista la complessità e l’irrisolvibilità dei quesiti che questo luogo ci ha suscitato abbiamo deciso di intraprendere una passeggiata filosofica su un tema che è tanto politico e sociale, quanto legato all’intimità e al sentimento quotidiano.
Quante volte ci sentiamo sconfitti? Quante volte si parla di vincere le paure. Di competere per qualcosa?

Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy

Leggi anche Un giardino delle delizie: passeggiata filosofica a Villa Borghese Filosofia all’Isola Tiberina

Livia Panarini

Livia Panarini

Livia Panarini è consulente filosofico iscritta all'elenco dei professionisti di Daimon per il quale ha anche partecipato come membro del direttivo.
Ha collaborato con l'università Roma Tre come come consulente filosofico nell'ambito dei PCTO, 
da più di dieci insegna Filosofia e Storia nei licei ed è un'appassionata di dibattiti e dialoghi filosofici.

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