Il Museo Napoleonico
Ljubov’ Fëdorovna Dostoevskaja, la figlia del grande autore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij, nelle pagine dell’Emigrante descrive la Villa Primoli (oggi sede del Museo Napoleonico), visitata durante un soggiorno romano della scrittrice nell’inverno 1911-12: <<Di tutte le case romane quella che più piaceva a Irina era la magione del conte Primoli, dove egli invitava tutta la Roma cosmopolita. Egli era un vero grand seigneur e sapeva accogliere i suoi invitati così che si sentissero all’istante a casa. Come ogni buon padrone, il conte Primoli amava la sua bella villa e si preoccupava di abbellirla. Nel piccolo atrio, a entrambi i lati del passaggio, era schierata la servitù in lunghi caffettani tutti dorati, calze bianche e scarpe a tacco alto, livree francesi di vecchia foggia, che oggigiorno raramente si vedono. Gli invitati inconsciamente entravano in una favola, e la loro disposizione d’animo cambiava sensibilmente.La balaustra lungo la scala era ingombra dei più diversi tessuti di tutti i colori e sfumature, mentre le pareti erano coperte di ricami e ventagli cinesi fatti con penne di pavone>>. La villa era costellata di fiori in grande abbondanza: << Meravigliosi gruppi di azalee dalle più diverse sfumature: bianche, rosa, scarlatte, erano sparse nell’arredamento. Ghirlande di freschi lillà si stendevano da un lampadario all’altro. Giacinti, rose, viole, cingevano le vetrine, si allungavano fin sulle mensole, si avvinghiavano attorno agli specchi. Il conte Primoli era un grande amante dei fiori e ne riempiva a tal punto la sua villa, che quasi ci si sentiva soffocare dal loro dolce profumo>>[1].
Questa narrazione ci introduce immediatamente nel bel palazzo posto tra via Zanardelli e piazza di ponte Umberto I, dove è ospitato il Museo Napoleonico. L’edificio è di origine tardo-quattrocentesca ma fu ammodernato nel Novecento con una decorazione neorinascimentale. Appare subito come uno scrigno aprendo il quale magicamente ci troviamo in un’altra epoca. La casa-museo ci parla soprattutto attraverso gli oggetti, dando vita ad un racconto privato, intimo, quotidiano sul destino della famiglia Bonaparte e il suo legame con la Città Eterna.
Ma com’è nata questa singolare collezione?
È il frutto di un doppio atto di generosità, quello dei fratelli Giuseppe e Luigi Primoli, eredi da parte di madre della famiglia Bonaparte e desiderosi di preservare dalla dispersione le proprie collezioni di memorie familiari. Erano figli del conte Pietro Primoli e della principessa Carlotta Bonaparte, la quale amava definirsi “doppiamente Bonaparte”, in quanto nata dal matrimonio di due cugini, Carlo Luciano e Zenaide, rispettivamente figli di due fratelli di Napoleone: Luciano principe di Canino, e Giuseppe re di Napoli e poi re di Spagna. La collezione finale è composita, poiché rispecchia i diversi temperamenti e propensioni dei due fratelli, Giuseppe più colto e raffinato, Luigi curioso e sinceramente appassionato, ma meno colto e in definitiva un accumulatore irrazionale di souvenir, cimeli e oggetti di minore valore artistico.
Per Giuseppe Primoli, la cui collezione è più meditata, determinante fu il forte affetto che lo legò all’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, e alla principessa Matilde, figlia di Girolamo Bonaparte, dalle quali derivò il nucleo più importante della sua raccolta. Le opere donate da Matilde ci introducono idealmente nel circolo di letterati e artisti che a Parigi si riuniva attorno a questa interessante figura di salonnière, denominata da Sainte-Beauve Notre-Dame des Arts. In questo vivace salon Giuseppe ebbe la possibilità di entrare in contatto con personaggi di spicco della cultura francese come Dumas, i de Goncourt, Maupassant, Gautier, assorbendone sia vivacità intellettuale sia attitudini salottiere.
Come abbiamo visto nella descrizione della Dostoevskaja, Primoli eredita proprio dalla zia il savoir-faire da buon padrone di casa e la raffinatezza francese della mise en scène, nonché il suo gusto e interesse da collezionista.
Dopo la morte di Luigi, Giuseppe decide di far confluire le due collezioni nel palazzo sul lungotevere, che avrebbe lasciato alla città di Roma alla sua morte (1927) affinché fosse trasformato in un vero e proprio museo.
Si tratta dunque di una collezione che non ha origine dal solitario progetto di un ricco e colto napoleonide, bensì da una corale e felice sintesi di tante raccolte di diversi membri della famiglia Bonaparte.
Altre donazioni si succedettero nei decenni seguenti alla nascita del museo (alcuni napoleonidi discendenti dal ramo romano dei Bonaparte come i Campello, i del Gallo di Roccagiovine, i Gabrielli, i Parisani, i Giunta cedettero opere di varia natura), le quali arricchiscono l’itinerario storico che si può compiere attraversando le diverse sale del museo, tra capolavori artistici e soprattutto “oggetti”.
Proprio i fratelli Primoli avevano scelto gli oggetti come narratori prediletti della storia e delle glorie familiari all’interno della collezione. Questa attenzione per le choses sembra interpretare nuovamente il culto sacrale che Napoleone stesso aveva durante gli anni a Sant’Elena per alcuni oggetti da lui ripetutamente e quasi ritualmente utilizzati, divenuti vere e proprie “reliquie ex contactu” destinate a raggiungere il figlio a partire dai 16 anni di età. Il sogno non si è mai realizzato, ma il destino ha voluto che questi oggetti evocativi giungessero in parte proprio in questo particolare museo romano.
Così oggi, nell’atmosfera avvolgente e misteriosa di queste sale, tabacchiere, gioielli, miniature, porcellane, abiti, libri ci raccontano piccole storie quotidiane e affettive, attraverso le quali possiamo immedesimarci nella grande storia della famiglia Bonaparte tra primo e secondo Impero.
[1] L’Emigrante, Ljubov’ Fëdorovna Dostoevskaja, S. Pietroburgo, 1912, traduzione di Alessandro Bongarzoni, La Sapienza Roma, 2009, cap. XIV
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
Leggi anche Una straordinaria storia d’amore conclusa all’Aracoeli