Emotività, delicatezza, sensibilità, sono molteplici gli aggettivi che potremmo usare per descrivere l’eterogeneità del mondo di Niki Genchi. Ce ne ha parlato lui stesso per accompagnarci all’interno della sua visione.
Niki Genchi è un fotografo originario di Bari; nella sua città natale studia cinema per poi trasferirsi a Milano, dove si dedica completamente alla fotografia nell’accademia John Kaverdash. Non è stato esattamente un cambio di rotta, in quanto l’interesse per la fotografia germoglia quando era ancora bambino, grazie a sua madre, che gli rese terreno fertile per una passione che con il tempo si è trasformata in lavoro.
Nel 2021 si aggiudica premi come: LensCulture Critics Choice, IPA Portrait on film, BIFA Honorable Mention, figurando anche tra i finalisti per The Indipendent Photographer. Di fronte ai suoi scatti si avverte un desiderio di vicinanza, di contatto, forse è presente anche un non detto, celato dietro una grande sensibilità ed un’empatia che rimettono gli animi in pace.
Niki, sappiamo che hai studiato cinema. Potresti affermare che ciò ti ha spinto verso la fotografia?
Il cinema è stato, e forse rimane, ciò che amo più di ogni altra cosa. Il mio percorso verso la fotografia è sicuramente stato determinato da questa mia grande passione. Durante i miei studi di cinema e teatro ho avuto modo di conoscere un docente di fotografia che ha sicuramente avuto un ruolo fondamentale nelle mie scelte future. Ho iniziato a fotografare da molto piccolo con una Polaroid regalatami da mia madre che uso tuttora. Lei era un’appassionata di fotografia, mi considerava un bambino molto sensibile, era convinta che sarei diventato un ottimo fotografo. Poi con l’adolescenza ho abbandonato questo percorso, riscoprendolo molto più tardi, durante i miei studi universitari. Penso che la fotografia sia più adatta al mio modo di essere rispetto al cinema, è più sintetica, in un solo scatto si possono raccontare storie molto differenti. In più non si ha sempre bisogno di un team al proprio fianco.
I tuoi lavori suscitano “intimità”. Come sei giunto a questo stile?
È sicuramente frutto di un percorso di duro lavoro su me stesso prima che sui soggetti che nel tempo ho fotografato. Credo dipenda da una sorta di sesto senso, una capacità di percezione della persona che hai di fronte, puoi chiamarla anche intelligenza emotiva.
Quando scatto entro in una dimensione tutta mia, come se spegnessi un interruttore, tutto il resto scompare, amplifico i sensi al limite delle mie capacità e aspetto il momento magico. Spesso mi capita di sentirmi totalmente svuotato dopo una sessione di shooting, penso sia una sensazione bellissima simile alla risoluzione di un orgasmo. A volte prima stabilisco un dialogo con i soggetti, altre preferisco semplicemente osservare.
I soggetti che catturi sono molto diversi tra loro, eppure sembra esserci un comune denominatore, appaiono puri, emotivamente onesti davanti la tua camera. Come scegli i tuoi modelli? Come scegli chi può darti questa “verità”?
Opero nel settore moda, non sempre i soggetti che fotografo sono scelti da me, a volte sono commissionati. Quando li scelgo la prima cosa che osservo sono i loro occhi e la capacità che hanno di trasmettere emozioni con il loro sguardo. Sono ossessionato dall’occhio umano. Penso che sia fondamentale cercare di far comprendere al soggetto cosa il fotografo vuole ottenere. Fare un ritratto sincero nel mio settore ha delle dinamiche complesse perché devo raggiungere un certo equilibrio tra quello che il soggetto vuole sembrare e la mia percezione di questa persona. Mi piace inserire delle “firme” nei miei ritratti, la buona fotografia come altre arti è un linguaggio e ha dei codici che purtroppo o, per fortuna, non tutti conoscono.
Nei tuoi lavori ci sono più primi piani o mezzi busti che figure intere. Appari sempre molto vicino alle persone che catturi…
Sì, tendo ad avvicinarmi molto al soggetto cercando di carpirne l’essenza, è un processo istintivo, non sono un fotografo a cui piace molto programmare le cose… adoro quella sensazione dove il talento emerge dall’improvvisazione.
Che tipo di capacità deve avere un fotografo per creare momenti particolari con i propri modelli?
Deve essere empatico, energico, seduttore, concentrato, osservare tutto con estrema attenzione, paziente ma anche impulsivo. Deve avere una propria visione.
Le tue fotografie fanno trasparire spontaneità. Ricordi un momento sul set in cui i tuoi soggetti hanno avuto difficoltà a lasciarsi andare?
Sì, capita a volte di trovarmi davanti a soggetti in cui avverto una sorta di “barriera invisibile” che si frappone tra me e loro. In quei momenti realizzo, mio malgrado, che devo raddoppiare le mie energie se voglio ottenere delle foto “sincere”. A volte riesco ad abbattere questa barriera e ad ottenere delle foto che reputo per me valide, altre purtroppo no.
I lavori di Niki Genchi, insieme ai contatti, sono reperibili sul suo profilo di Photo Vogue, la piattaforma di Vogue Italia dedicata alla fotografia.
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