Tutti coloro che amano il Teatro hanno un ricordo ben preciso della loro “epifania teatrale”, quel momento in cui senza accorgersene hanno deciso definitivamente che quelle sedie di velluto e quel sipario entrassero a far parte in maniera più o meno preponderante della propria esistenza.
Io quel momento me lo ricordo perfettamente, quando una compagna di scuola mi invitò a vedere lo spettacolo “Ballando Ballando” di Giancarlo Sepe al Teatro Quirino. L’incontro fu estremo, totalizzante e quelle coreografie, quella musica, quelle scene hanno conquistato per sempre la mia attenzione emotiva.
Nel tempo, approfondendo quel sentimento di attrazione, ho scoperto uno spazio magico dove potermi rifugiare, respirando appieno quell’Arte che in una remota età adolescenziale mi aveva rapito l’anima.
Se è vero, parafrasando Zygmunt Bauman, che non possiamo nutrire serie speranze di rendere migliore il mondo, ma possiamo salvaguardarci da esso ritagliandoci un posto privato e piacevole dove crederlo migliore, io quel posto l’ho trovato nel Teatro La Comunità, uno dei pochi spazi teatrali sopravvissuti a quegli anni romani fatti di scantinati e sperimentazioni e che alla soglia dei suoi cinquant’anni di vita rimane ancora oggi indenne da tutti quei bombardamenti mediatici che hanno avvilito l’arte teatrale.
Giancarlo Sepe è il padrone di casa che con la sua arte imperiosa ne fa pulsare le viscere dirigendo maestranze tecniche ed artistiche. Nomi altisonanti del panorama teatrale italiano come il grande Aroldo Tieri, Giuliana Lojodice, Massimo Ranieri, Mariangela Melato, Umberto Orsini fino a non dimenticare la grandissima Lilla Brignone, con la quale Sepe ha incominciato il suo viaggio “ufficiale” nel Teatro, si sono fatti plasmare dall’incanto della sua estrosità. Altrettanti attori ed attrici, hanno sfidato i limiti della propria fisicità attoriale facendosi guidare dall’originale cifra stilistica del Maestro.
“Il Teatro è un gioco, un’allusione, un’ellissi, è qualcosa che ti arriva inaspettata ma a cui bisogna avere il coraggio di abbandonarsi”
afferma lo stesso regista ed intorno a lui si è abbandonata una vera e propria comunità, un’energia vitale che si rinnova tra luci, ombre, voci e sonorità umane dove la meraviglia di ciò che ci colpisce è la chiave di lettura del suo linguaggio.
Dopo un lungo periodo di chiusura forzata finalmente La Comunità torna in scena: “Germania anni 20”, lo spettacolo con il quale Giancarlo Sepe ha deciso di riaprire il suo spazio, è un vortice di coralità nel quale i suoi interpreti ruotano intorno alla scena riempiendola di espressioni mimiche estreme.
Lo spettacolo è in scena al teatro La Comunità di Roma fino al 12 Dicembre per poi debuttare al teatro La Pergola di Firenze (link di seguito https://www.teatrodellapergola.com/evento/germaniaanni20/)
È la storia della fierezza di una nazione, la Germania di quegli anni che orgogliosa cerca di rialzarsi tra le macerie di una guerra mondiale appena conclusa ed i segnali di allarme di un nuova tragedia sociale che timida si sta affacciando alle porte di una nuova era.
Nel frattempo si piange, si ride, si riflette mentre le immagini della Storia apparentemente lontana scorrono come fotogrammi cinematografici in un orgasmo intellettuale per gli occhi e per la mente. I livelli d’interpretazione sono molteplici, forse infiniti, da quello didascalico a quello onirico passando per continui rimandi storici e fermenti culturali del tempo. Un destino accumunato da speranze deluse, personaggi che si svelano nella loro fragilità davanti a spettatori ipnotizzati, un terreno di lotta dove ogni ceto combatte la propria storia individuale e collettiva.
Lo spettacolo di Giancarlo Sepe è fisico, sensoriale, maniacale nei dettagli, seduce senza smettere mai di stupire, in continuo movimento anche quando resta immobile. Si potrebbe definire barocco nella sua profusione contagiosa di godimento estetico. Nella recitazione sublime dei suoi dieci interpreti si esprime la marionetta di Mejerchol’d quando si abbandonano al cospetto del regista lasciandosi dirigere dalla sua arte maieutica . Lo studio mimico dei loro gesti richiama l’espressione esplosiva di Marcel Marceu mentre la musica, dai rimandi brechtiani, dialoga con l’atmosfera noir che la circonda. Come in un’orchestra è la Musica infatti a dirigere la drammaturgia scenica riuscendo a rendere familiare il suono della lingua straniera, quella tedesca, con la quale si è deciso di mettere in scena il testo, a dimostrazione di come il Teatro, quello totale, riesce a superare la necessità semantica della sua rappresentazione.
“L’utilità della bellezza non è evidente, che sia necessaria alla civiltà non risulta a prima vista, eppure la civiltà non potrebbe farne a meno”
Questo è ciò che scriveva Freud e forse questo è anche il destino del Teatro da quando esiste l’uomo. Se l’arte teatrale oggi ancora resiste lo si deve anche a spettacoli come questo, quando usciti da quella scatola magica si ha la netta sensazione del privilegio di aver assaporato infinita bellezza e sentire il piacere civico ed umano di doverla raccontare!
Da vedere e rivedere infinte volte…
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