Com’è stato detto, esiste l’arte prima di Caravaggio e l’arte dopo Caravaggio. Per incrementarne la conoscenza, a scadenza quasi mensile, non passa anno che non si parli e non si scriva del Merisi. Con accese, a volte gridate, discussioni non appena appare sulla scena, in attesa di essere accettata dal mercato dell’arte, una supposta nuova opera del grande pittore.
Come nel caso di Giuditta e Oloferne trovata misteriosamente nella soffitta di una casa di Tolosa. Non si sa da dove provenga. Le sue tracce sono scomparse quattrocento anni fa.
Il quadro sporco, ingrigito e opaco dopo una sommaria pulitura viene spedito a Parigi. Prima suscita scalpore. Ma poi sembra non ci siano dubbi nell’attribuirlo.
Bisogna precisare che l’opera risultava smarrita. La si conosceva per l’esistenza di una copia contemporanea. La Giuditta di Tolosa ha una sorella gemella. Si trova a Napoli, esposta nella collezione di una banca. Stessa impostazione stesso periodo. L’autore è Louis Finson. Noto appunto per le sue opere tratte da Caravaggio. Non si è potuto fare a meno di notare che i due quadri sono simili. In ogni aspetto.
Gli stilemi.
Al di là delle ineludibili ragioni economiche, su quali basi si è subito tirato in ballo Caravaggio? Ogni grande artista, affermano gli esperti, ha le sue manie. Una scrittura tipica. Stilemi che si ripetono. Compreso il Merisi. Nel caso della Tolosa, la macchia d’ombra nella parte inferiore del labbro di Giuditta. Un altro motivo ricorrente è la mano abbronzata di Oloferne, mano di un guerriero. In contrasto con il bianco del braccio e del resto del corpo.
John Gasch, l’inglese esperto di Caravaggio ha confrontato la Tolosa con la Flagellazione di Cristo di Rouen. Dipinta nello stesso periodo. Ha attirato l’attenzione su alcuni particolari dipinti quasi per istinto. Come l’ombra che sottolinea l’occhio del Cristo. Il riflesso di luce nello stesso occhio.
“Sono dettagli pittorici che rendono questa tecnica compatibile con quella della Giuditta di Tolosa”.
E ancora. Suggerisce di soffermarsi sul perizoma di Cristo. Per realizzare le ombre sono state utilizzate diverse gradazioni di grigio. Tratti che si riscontrano anche nei drappeggi delle lenzuola di Tolosa.
Ma i confronti non finiscono qui. Se si accosta la Tolosa alla Giuditta e Oloferne di Palazzo Barberini a Roma, appare evidente che i due dipinti raccontano lo stesso dramma e lo stesso momento. Quello della decapitazione. L’interpretazione della scena però non è per niente simile.
La bellezza della Giuditta Barberini è come inquinata dalla sua tensione. Si vede che nell’atto della decapitazione, nel fare violenza a se stessa, si contrae. Si irrigidisce. Mentre agisce vorrebbe allontanarsi. Nella Giuditta di Tolosa, prevale il gusto della sfida. Lo si legge nei suoi occhi. Che sembrano guardarci. La postura e gli atteggiamenti sono quelli di un’assassina di professione – uccide meccanicamente – come se non si rendesse conto di ciò che sta facendo.
Tutto chiaro allora? Mica tanto. C’è un elemento intrigante che accomuna i due dipinti. Le due Giuditte portano lo stesso orecchino, una perla a goccia sormontata da un fiocco nero. Si può allora sostenere che le due opere appartengono allo stesso artista, realizzate a qualche anno di distanza? Oppure si tratta di un imitatore di Caravaggio che ha copiato gli accessori da lui ritratti?
La storia continua…..