Confesso che fino ad ora non avevo mai letto Le sedie di Eugène Ionesco. La produzione del Teatro stabile di Torino con la regia di Valerio Binasco ne è stata l’occasione. A quasi settant’anni dal debutto parigino del 1952 a Parigi il lungo atto unico, definito farsa tragica, non perde la propria attualità, la carica dissacrante. Con uno scambio di battute quasi monosillabiche, ripetitive, che sfiora la lallazione primordiale:
“Il vecchio -Io crepo di noia.
La vecchia -Eri più allegro quando guardavi l’acqua… Per distrarti, fa’ di nuovo finta, come l’altra sera.
Il vecchio -Fa’ finta tu, oggi tocca a te.
La vecchia -Tocca a te.
Il vecchio -A te.
La vecchia -A te.
Il vecchio -A te.
La vecchia -A te.
Il vecchio -Bevi il tuo tè, Semiramide”.
“Evidentemente non c’è tè di sorta” è la nota di Ionesco.
Ci possiamo riconoscere nel senso/non senso del dialogo. Ci appartiene, anche se strutturato oltre la logica tradizionale. Un comunicare mediante striminzite frasi che ripetute, perdono spessore semantico. In effetti, un vuoto di parole. Si vanificano, come nella comunicazione che si registra, spesso, nei social, dove si parla o si scrive ma non si ascolta. Dove il tormentone francamente stantio è “io non ti ho interrotto”. Un dialogo che si dice inserito nel canone del teatro dell’assurdo.
Per cercare d’intuire le intenzioni di Ionesco, basta riflettere su ciò che annuncia lo stesso autore:
“Tratta dell’assenza, della vacuità, del nulla. Le sedie sono rimaste vuote perché non c’è nessuno… Il mondo non esiste per davvero”
E veniamo alla possibile trama. Siamo in un’isola. In un faro abbandonato. In una grande sala due vecchi, marito e moglie, discutono. In un modo serrato, che sembra affabile. Facendo emergere ricordi. Delusioni:
La vecchia –Ah sì, tu sei certamente un grande sapiente. Tu hai molto talento, tesoro mio. Avresti potuto essere Presidente Capo, Re Capo, o persino Dottore Capo, Maresciallo Capo, se tu avessi voluto, se avessi avuto un po’ d’ambizione…
Il vecchio –A che cosa sarebbe servito? Non ce la saremmo passata meglio… e poi, dopo tutto, abbiamo una posizione, sono Maresciallo anche così, Maresciallo d’Alloggio, dal momento che sono portinaio.
Tutto il senso della farsa tragica è racchiuso nello scambio delle prime battute. Il vecchio si sporge per guardare le barche sull’acqua che fanno delle chiazze al sole.
La vecchia –Ma non puoi vederle! Non c’è il sole, è notte, tesoro mio.
Il vecchio -Ne restano le ombre.
Un dire dettato dalla demenza senile o un dire che rispecchia il vuoto, l’angoscia, il nulla?
Apprendiamo che devono arrivare degli ospiti ai quali il vecchio consegnerà un suo messaggio importante. Ma sono visibili solo agli occhi dei due anziani. Nel loro sistemare sempre più sedie, intuiamo ciò che gli invitati dicono dalle risposte dei due vecchi –che parlano, raccontano, rievocano sensi di colpa, fantasie cupe, speranze, timori – in attesa del messaggio affidato all’oratore.
La vecchia –Questa sera debbono venire gli invitati. Non bisogna che ti trovino così… Non è affatto vero che tutto è perduto: tu dirai ogni cosa, la spiegherai, hai un messaggio… Hai sempre ripetuto che l’avresti detto… Devi vivere, devi lottare per il tuo messaggio.
Messaggio che si rivelerà inintelligibile.
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