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“L’Italia è un desiderio” – Fotografia di paesaggio d’autore alle Scuderie del Quirinale

Scrivere di una mostra come “L’Italia è un desiderio?” somiglia molto a recensire uno scotch whisky di un certo livello… un blended, per la precisione, una miscela selezionata dalle due incredibili collezioni Alinari e MuFoCo: al naso, un immediato odore di variegate suggestioni passate e presenti. Al primo assaggio, un persistente sapore di paesaggio come territorio di memoria, luogo dell’anima, dialogo con le radici. In chiusura, quel persistente retrogusto che hai quando la sensazione è di aver soltanto scalfito la superficie, quello che ti fa venir voglia di guardarla di nuovo perché la quantità di materiale delle due collezioni è tale da rischiare di non essere apprezzata per intero. Quel retrogusto che, per l’appunto, ti lascia il desiderio.

L'Italia è un desiderioImmagine di copertina della mostra, una stampa dei fratelli Alinari ante 1915 (negativo su vetro ai sali d’argento) che per contemporaneità, capacità di sintesi, riconoscibilità del luogo e capacità di astrazione si fa icona pubblicitaria e di significati di questa mostra nell’immaginario fotografico e non del paesaggio italiano, come neanche un Warhol ante litteram.

L'Italia è un desiderioUna mostra del genere si espone al rischio di passare per mera e raffazzonata raccolta enciclopedica, con il tema del “paesaggio” a fare da ampio filo conduttore dal percorso un po’ tortuoso, ma non è così: l’Italia come nazione unita è di fatto poco più giovane della fotografia, e proprio il suo paesaggio è l’immagine mentale con cui noi raffiguriamo il senso di appartenenza, la storia, le radici, e l’invenzione della fotografia stessa cosa è stato se non fissare quelle immagini per sempre su un supporto fisico, oltre che nel nostro immaginario? L’elemento identitario nazionale si fonde quindi con la varietà e la crescita delle tecniche fotografiche, per un risultato decisamente complesso e variegato.

L'Italia è un desiderioLa mostra, molto ricca, occupa due piani delle Scuderie: nel primo di questi, a stupire è la quantità, qualità e varietà di opere, risalenti agli albori della fotografia. Negativi su vetro, stampe agli albumi, carte salate, autocromie, diapositive su lastra di vetro colorate a mano, stampa all’albumina su carta, e qualche (dichiarata) stampa moderna da negativo originale che forse farà storcere il naso a qualche purista ma non ci nega il gusto di assaporare alcune vecchie immagini che il tempo non sembra aver scalfito. Non aspettatevi, però, un mero ordine cronologico di opere: il concetto alla base della prima metà della mostra è legato, per l’appunto, alla prima parte della storia della fotografia, quello in cui il nuovo mezzo non ha ancora sviluppato una propria forma di espressione artistica e viene ancora considerato il sostituto della pittura, aderendo perlopiù a quei valori estetici figli di un’evoluzione secolare. Non che manchino progetti autoriali, ovviamente: citiamo a titolo di esempio la mitologica (forse anche teatrale) Taormina di Von Gloeden, o il progetto sulle nuvole di Vittorio Alinari, fino ad arrivare ai nuovi realismi, fra gli altri, di Alberto Lattuada, Fosco Maraini, Paul Graham, in cui lo spirito reportagistico domina le immagini e le figure umane inquadrate non risultano esattamente il soggetto della foto ma piuttosto una parte del paesaggio stesso.

L'Italia è un desiderioUna breve scalinata (e, se volete, una piccola pausa ristoro al bar) ci conduce al piano superiore, nel quale già a una prima occhiata rapida occhiata l’impressione è di trovarsi quasi dentro un’altra mostra: i colori di Franco Fontana, il taglio sociologico di Gianni Berengo Gardin, l’asciutto rigore di Luigi Ghirri, gli sperimentali ritratti mossi di Mario Cresci e i paesaggi rurali di Mario Giacomelli… Sono gli anni sessanta e settanta, i più innovativi e dibattuti della fotografia: viene introdotto l’astrattismo in fotografia, i canoni estetici classici e concetto stesso di bellezza lasciano il posto a nuovi linguaggi e codici, in cui il soggetto della fotografia è lo sguardo del fotografo e il paesaggio o il soggetto ritratto un (ignaro) messaggero. Politica, sociologia, psicologia creano nuove forme di espressione fra le arti visive, e tutto è scelta artistica: colore, pellicola, formato, ottica, supporto.
L'Italia è un desiderioParticolarmente valida, oltre che dal punto di vista artistico, anche di quello architettonico e sociologico è la parte di analisi del territorio in cui, fra le altre, spiccano tanto per fama quanto per complessità le ricerche fotografiche di Gabriele Basilico su Milano e il lavoro dei Fratelli Alinari sull’ex ospedale psichiatrico “San Salvi” di Firenze.
Una delle ultime parti della mostra omaggia, chi sa quanto consapevolmente, la figura del photo editor, spesso poco considerata nel modo dell’arte: “Margini“, “Del luogo“, “Lungomare” sono alcuni dei titoli con cui i curatori, rovistando nell’infinito e ricco archivio delle due collezioni, tirano fuori nuove composizioni (da meno di una dozzina di foto l’una) mescolando autori vari e creando forse non nuovi linguaggi, ma sicuramente nuovi percorsi fotografici. è sicuramente questo uno dei futuri possibili (e già parzialmente percorsi) della fotografia d’autore: nell’epoca dell’iperproduzione di immagini e dell’iperdisponibilità del mezzo di produzione, per essere artista e autore rischia spesso di esserci più lavoro nello scegliere le immagini che a produrle.
L'Italia è un desiderioE quale migliore introduzione potrebbe esserci all’ultima parte della mostra, quella più varia e moderna, facente parte di un periodo storico in continua e costante evoluzione: il mondo digitale ha creato nella fotografia (ammesso che possa ancora aver senso chiamarla così) infinite possibilità espressive, oltre a porre sorprendenti e insospettabili dilemmi etici. Il paesaggio diventa quindi luogo in senso lato: biopolitico e di meditazione come in Karma Fails, luogo di interazione nei ritratti contenuti nelle 200 cianotipie di Tommaso Mori, onirico-religioso in “Tra cielo e terra” di Claudio Beorchia… Al centro di questa raccolta di contemporaneità, una preziosa opera di Icilio Calzolari: leporello con 12 stampe all’albumina su carta, legatura in tela rossa con titolo impresso in oro al piatto superiore, riproduzione del quadro perduto “Garibaldi il 3 giugno 1849 a Porta S. Pancrazio” del pittore Phillippet. Preziosa perché, in quel mare di contemporaneità, ci ricorda tanto la prima, preziosa funzione della fotografia che è quella di conservare memorie e generare ricordi, e che essendo un’arte profondamente legata all’evoluzione della tecnologia e dei progressi che la circondano, sarà sempre costretta a mettere in discussione non solo i suoi contenuti, ma anche i supporti attraverso i quali verrà fruita.

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Angelo Mozzetta

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