Nella moderna concezione di museologia, le opere d’arte dialogano con la sede espositiva museale che viene spesso selezionata e restaurata per divenire uno spazio agevolmente fruibile dai visitatori. Tale operazione richiede un attento studio per conoscere le vicende storiche e costruttive dell’edificio ospitante il museo e, in qualche caso, la ricerca preliminare di fonti per l’avvio di un restauro filologico garantisce da una parte sorprendenti scoperte inerenti aspetti decorativi e storici del complesso, dall’altra offre la possibilità di ricollocare alcune opere d’arte, appartenenti a nuclei di collezioni diverse e che nei secoli hanno viaggiato e sono andate verso le più svariate destinazioni, tra vendite e acquisizioni, nelle stesse sale che le ospitarono molti secoli prima.
Insomma potremmo dire che questa operazione consente all’opera d’arte di tornare a casa, un po’ come nella fiaba Il Soldatino di Piombo.
È questo il caso di Palazzo Altemps situato nel Rione Ponte, recuperato dopo anni di intensa attività di restauro condotto tra gli anni Ottanta e Novanta dall’architetto Francesco Scoppola e riportato a nuova vita affinché il cortile, lo scalone monumentale e le sale decorate diventassero spazi qualificati per ospitare una delle sedi del Museo Nazionale Romano e in particolare la sezione dedicata alla storia del collezionismo.
In questa cornice infatti hanno trovato nuova luce statue e rilievi della Collezione Ludovisi, Mattei, Del Drago e 15 pezzi del centinaio di sculture della collezione che il Card. Marco Sittico Altemps, nipote di Papa Pio IV e proprietario del palazzo a partire dal 1568, aveva sistemato nella sua nuova dimora.
Non è tuttavia solo questo aspetto a farci considerare Palazzo Altemps un luogo di eccezionale interesse. La sua storia è in realtà costellata di vicende matrimoniali più o meno fortunate.
La storia del palazzo è precedente all’acquisto da parte della famiglia Altemps e ci riporta ad una diversa stagione culturale: il Quattrocento a Roma. Il conte Girolamo Riario nipote di Sisto IV e signore di Imola nella seconda metà del XV secolo decide infatti di costruire un edificio su preesistenze medievali di casupole, torri ed orti per farlo diventare la propria dimora nobiliare in occasione delle sue nozze con Caterina Sforza.
Il palazzo è dunque nato come la residenza di una coppia di novelli sposi e allora, ancora prima di essere un esempio di dimora per il collezionismo romano, l’edificio si distinse per la qualità ed originalità delle soluzioni architettoniche e decorative da leggere in rapporto alle esigenze abitative degli sposi.
La destinazione matrimoniale è evidente ad esempio nella celebre Sala della Piattaia, ambiente di rappresentanza del palazzo, dove su una delle pareti si osserva un affresco dal soggetto insolito nel repertorio del Rinascimento romano poiché in una illusionistica sovrapposizione di piani, davanti ad una colonna dipinta, si distende una sorta di arazzo con motivi vegetali e floreali realizzati con minuzia calligrafica degna di un erbolario di gusto tardo gotico.
Ma il motivo più originale e da considerare un unicum assoluto è la “piattaia” da cui prende nome la sala, con piatti, coppe e bricchi in peltro o argento. Si tratta probabilmente della rappresentazione dei servizi da tavola o dei doni di nozze, usati per il matrimonio Riario-Sforza, celebrato nel 1477.
L’insolita pittura prospettica, la monumentalità abbinata ad un gusto particolaristico nei dettagli rimandano alla personalità di Melozzo da Forlì, coinvolto probabilmente sia nel cantiere architettonico che nel rivestimento decorativo delle sale.