Nel Palazzo Massimo alle Terme, edificio il cui nome deriva dalla nobile famiglia romana dei Massimo, proprietaria di una villa nei pressi delle Terme di Diocleziano, è ospitato dal 1981 il Museo Nazionale Romano, nucleo museale di straordinaria rilevanza per la qualità e quantità di ritratti, mosaici ed affreschi di epoca romana.
Il palazzo, realizzato tra il 1883 e il 1887, nasce in realtà per volontà del padre gesuita Massimiliano Massimo, come sede del Collegio dei Gesuiti e un secolo più tardi, sarà acquistato dallo Stato come spazio espositivo di arte classica. Il Museo si snoda su ben quattro livelli dove si ammirano straordinari capolavori di arte romana.
Il visitatore si trova di fronte intere sezioni dedicate al ritratto, con pregevoli esempi, da quelli idealizzati di stile ellenistico, a quelli più rigorosamente aderenti alla tradizione realistica romana, fino a raggiungere sale ove campeggiano alcuni protagonisti assoluti dello spazio museale, come il bronzo con il Pugilatore ed il suo ipnotico fascino che emana nell’audace resa naturalistica e nella vibrante carica di forza ed energia.Salendo al secondo piano, il Museo di Palazzo Massimo, però, rivela, attraverso pitture. stucchi e mosaici, un volto meno noto della produzione artistica di Roma e dintorni: quello della decorazione pittorica e musiva di ville e dimore patrizie.
L’affresco, rispetto all’opera scultorea, è certamente un prodotto artistico più facilmente deperibile e pertanto piuttosto raro. A differenza delle numerose testimonianze delle aree di Pompei ed Ercolano, in ambiente laziale la documentazione archeologica di affreschi è infatti quantitativamente più limitata e proprio per questo il Museo Nazionale Romano riveste un particolare valore, perché concentra in un unico spazio espositivo, le più significative testimonianze del rivestimento pittorico parietale tipico degli edifici abitativi romani.
Ma la particolarità delle scelte espositive di palazzo Massimo è costituita dalla collocazione degli affreschi all’interno di ricostruzioni degli ambienti originari, nei quali il visitatore può ammirare, in una suggestiva e appartata atmosfera, le più rilevanti caratteristiche del rivestimento pittorico originale.
In particolare ci si può immergere in un ambiente di grande raffinatezza e magica eleganza entrando nella ricostruzione del triclinio della Villa di Livia con il magnifico giardino dipinto sulle pareti, tra il 20 e il 10 a. C., il più antico esempio di giardino illusionistico di epoca romana.
La villa si trovava al IX miglio della via Flaminia, apparteneva a Livia Drusilla, terza moglie dell’Imperatore Augusto, ed era detta “ad gallinas albas“ in ricordo di un evento straordinario: un’aquila avrebbe lasciato cadere sul grembo di Livia una gallina bianca con un ramo d’alloro nel becco. Il ramoscello piantato avrebbe dato vita ad un boschetto da cui trarre le corone degli imperatori romani.
Il sito archeologico fu individuato già nel 1828, ma gli scavi iniziarono nel 1863. Durante i lavori venne alla luce anche il celebre Augusto di prima Porta , oggi conservato ai Musei Vaticani.
Finalmente il 30 aprile dello stesso anno “si scoprì verso Levante nella prossimità delle sostruzioni dei muri di confine di d.ta Villa una Scala che conduce per ora a n. 2 Camere, una delle quali con pareti di colore bianco, con pavimento di Mosaico bianco e nero di costruzione ordinario, ed una Camera a Sinistra delle scale con pareti pitturate in buono stato rappresentanti alberi di frutti, e fiori, con Augelli vari, la volta del tutto rovinata, ed i stucchi che la contornavano si rinvengono tra i calcinacci di cui è ripiena la detta camera”.
Era venuto alla luce il triclinio o ninfeo con il magnifico giardino illusionisticamente rappresentato sulle quattro pareti. L’ambiente si trovava in posizione semisotterranea con volta a botte rivestita di stucchi e costituiva probabilmente una sala da pranzo estiva, il cui rivestimento decorativo era finalizzato ad evocare un lussureggiante ambiente naturale costellato di varie specie arboree e avicole.
Dopo aver tentato di lasciare in loco gli affreschi, nel 1951 si giunse alla decisione di procedere allo strappo, al loro restauro e alla definitiva collocazione nella sede attuale.
La rappresentazione illusionistica suggerisce la presenza umana nell’opera di regolamentazione del viridarium con un basso canneto e un muretto di recinzione oltre il quale si gusta la minuzia calligrafica delle caratteristiche di alberi d’alto fusto, dai cipressi, agli abeti, alle querce, ma anche di piante ornamentali come gli oleandri, i mirti e gli allori.
Poi lo sguardo viene catturato dagli alberi da frutto, melograni, cotogni e da un prato fiorito con papaveri e camomille. L’effetto è di stupefacente realismo, nonostante la rappresentazione non tenga conto della stagionalità delle fioriture.
Si osservano alcuni elementi che denotano il notevole livello qualitativo del programma decorativo. Un effetto di lieve movimento della vegetazione suggerisce infatti l’idea di un gradevole vento rinfrescante. Sono apprezzabili anche le sottili gradazioni luminose e l’effetto di prospettiva che è garantito dalla resa sfumata del piano in lontananza rispetto alla precisione botanica del piano prossimo al riguardante.
Se pensiamo che questo ambiente era pressoché ipogeo e forse scarsamente illuminato dalla luce solare, possiamo percepire proprio la volontà di rendere arioso e vivo lo scenario della rappresentazione
La luminosità dei colori e la vivacità naturalistica del soggetto lascia al visitatore una sensazione di immersione nella Natura che fa quasi dimenticare di essere all’interno di un museo e di fronte alla Stazione Termini.
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
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