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Pasolini e il corpo veggente

pasolini corpo ricotta
Foto di scena da la Ricotta 1963.Foto Paul Ronald. Collezione Maraldi.

“Io sono una forza del passato / solo nella tradizione è il mio amore / vengo dalle ruderi, dalle chiese / dalle pale d’altare, dai borghi / dimenticati sugli Appennini o le Prealpi / dove sono vissuti i miei fratelli” (Pasolini Poesia in forma di rosa)

Il cinema di Pier Paolo Paolini è senza dubbio un cinema di corpi, da quelli dei giovani “riccioloni dall’aria contadina ma cresciuti in città”, i corpi degli ultimi, ai corpi delle marionette che rappresentano il rifiuto del corpo stesso.
Ed è proprio il corpo che viene assurto a simbolo della poetica pasoliniana e diventa il tema centrale intorno a cui ruotano le celebrazioni per il centenario della nascita dell’autore: Tutto è santo.

Pasolini
Pasolini sul set di Teorema. Foto Angelo Novi

Figura e adempimento

La mostra di Palazzo Barberini approfondisce il “corpo veggente”, ovvero il rapporto che il regista intrattiene con la storia dell’arte e le iconografie che hanno contribuito alla creazione del suo immaginario figurativo.
Il corpo in Pasolini è figura termine inteso alla maniera di Auerbach.
Nei suoi Studi su Dante una raccolta di saggi dove indaga il rapporto tra la Divina Commedia e la cultura tardo-antica, il critico tedesco dedica parecchie pagine all’elaborazione del concetto di “figura”.
La “figura” è una “profezia reale” ovvero un qualcosa di storico, di reale che però prefigurerebbe e annuncerebbe un altro avvenimento storico e reale che deve ancora accadere: l’adempimento.
Con questo concetto Auerbach spiega il realismo della Commedia ma anche il rapporto dell’opera con tutta la cultura cristiana che in qualche modo Dante riassume.

Il corpo figurale

In Pasolini questo concetto si fa corpo, nel vero senso della parola, attraverso il corpo dell’attore che rappresenta il corpo dell’uomo protagonista della narrazione, in pratica una rappresentazione di una rappresentazione. Ovviamente non “quel singolo corpo” come lo intenderebbe Kierkegaard ma il corpo dell’uomo nella Storia, che recupera in sé il passato “delle ruderi, delle chiese, delle pale d’altare”.
Il “corpo figura” nei film di Pasolini non solo recupera su di sé il passato, inteso come tradizione (anche in senso storico-artistico), ma è l’emblema stesso di quel passato nel presente.
Il corpo è temporalità, è l’ultima pre-esistenza e persistenza di un passato, quello dei contadini nelle campagne, destinato a scomparire nelle caotiche città borghesi simbolo del sistema consumistico capitalista.

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Pier Paolo Pasolini

Dalla Trilogia della Vita  a l’incompiuta Trilogia della Morte  tutto il cinema di Pasolini è incentrato sul “ciclo vitale del corpo”: dalle origini contadine alla sua evoluzione operaia; dalla liberazione sessuale alle lotte e le rivoluzioni del ’68; dal fallimento dell’utopia socialista allo sfruttamento del lavoro, fino al degrado estremo dell’imbarbarimento borghese che trasforma il popolo in massa. Per arrivare infine al rifiuto del corpo stesso e alla sua abiura come scriverà l’autore sul Corriere della Sera nel novembre del 1975.
Il corpo pasoliniano dunque è il protagonista dell’immaginario visivo dell’autore e convoglia in sé tutta la grande tradizione artistica dai giotteschi al Barocco. Solo l’arte permette di tenere insieme “il mistero del sacro ed il mondano del nostro rapporto con la Realtà e la Storia”.

Cultura folklorica e tradizione iconografica

Al tempo stesso Pasolini guarda alle coeve ricerche antropologiche di Ernesto De Martino, di Cecilia Mangini (autrice nel 1960 di Stendalí, documentario sul pianto rituale girato in Salento) e alle ricerche etno-antropologiche sul folclore in Sardegna dell’etnologo Franco Cagnetta.
In queste culture arcaiche, primitive oramai in via di estinzione, si attinge a quelle iconografie della tradizione storico-artistica per “dare una forma sensibile all’altrimenti inaccettabile terrestrità del dolore” come scrive Ernesto De Martino.
Il Pathosformel, la formula patetica del dolore e del cordoglio, è incarnata dalle lamentatrici del Sud Italia proprio perché esse attingono alla tradizione figurativa del Planctus Marie, la Pietà, o ad esempio dalla mater dolorosa di Changenet o da un compianto del Cristo Morto di Niccolò dell’Arca.
Queste culture folkloriche sono figura ed adempimento della grande tradizione iconografica storico-artistica medievale, manierista e barocca, in quanto attingono da quelle tradizioni ed insieme ne rappresentano l’ultima persistenza.

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Stendalì di Cecilia Mangini. Foto da https://www.progettospace.com/symposium

L’immaginario figurativo di Pier Paolo Pasolini unisce la Storia dell’Arte e la ricerca socio-antropologica per poi proiettarla sui corpi dei suoi personaggi.
Ecco allora le madri della tradizione popolare e le Marie Addolorate del Baciccio o dello Stanzione fondersi insieme nella Magnani che piange il figlio in Mamma Roma. Così allo stesso modo gli Ignoti alla città e le classi più povere delle fotografie di Franco Pinna che nel 1956 documentano il mondo insieme remoto e rimosso delle borgate del Mandrione e del Borghetto Latino, si incarnano nei sottoproletari della Ricotta insieme con i grotteschi Mangiatori di Ricotta di Vincenzo Campi o con i mendicanti dell’Anonimo Caravaggesco.

Pasolini e Longhi

Ma per comprendere meglio il rapporto tra il regista e la storia dell’arte unico trait d’union tra il suo cinema e quella che potremmo chiamare un’antropologia della memoria, dobbiamo tornare nelle aule dell’università di Bologna nell’anno accademico 1940-41 quando Pasolini assiste alle lezioni di un grande maestro come Roberto Longhi.
È tramite la proiezione delle diapositive sui grandi pittori del passato come Giotto e Masaccio, che l’autore comincia ad immaginare una sua idea di cinema, seppur ancora non del tutto consapevole come ricorderà lui stesso recensendo gli scritti di Longhi.
Queste rappresentazioni di immagini di immagini, accuratamente selezionate, rimandano infatti al montaggio cinematografico.
È tramite il linguaggio del grande storico dell’arte che Pasolini viene iniziato a quel discorso critico che “mobilità l’immaginario” ma soprattutto permette la sovrapposizione di temporalità altrimenti incompatibili; quel linguaggio figurale su cui il regista costruisce il “corpo” di tutto il suo cinema.

caravaggio pasolini
San Giovanni Battista, Caravaggio, 1604. Galleria Corsini, Roma.

Cinema come adempimento della pittura antica

Ed ecco allora che tutto il cinema di Pasolini diventa adempimento della pittura antica là dove la pittura antica è figura del cinema: dai tableaux vivants nella Ricotta, tratti dagli ignudi della deposizione di Pontormo (anch’essi rappresentati in un volume sul pittore dello storico dell’arte Giuliano Briganti) al servo humilis dell’amato Romanino. Attraverso l’arte dei grandi maestri, mediata dal linguaggio critico di Longhi, Pasolini riscopre e ritrova il “corpo” di “un passato popolare e umanistico – quando la sua realtà fisica era – protagonista perché del tutto appartenente ancora all’uomo”, punto centrale della sua poetica.
Ma se il presente è adempimento figurale del passato è anche vero che esso retroagisce sul passato proiettandovi nuove figure. Senza citarlo apertamente Pasolini instaura un rapporto di mutuo scambio anche con Caravaggio che come lui ritrae quei corpi popolari “esclusi dall’ideologia culturale vigente”.
Nell’ostentazione di una corporeità indecorosa e di una sessualità irriverente è facile vedere infatti negli ultimi di Caravaggio, le classi popolari dimenticate di Pasolini.

Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy

Leggi anche The Purple Line. Il potere delle immagini di Hirschhorn

Francesco Ricci

Francesco Ricci

Dopo aver studiato al Liceo Classico, si laurea nel 2009 in Storia dell'Arte Moderna e nel 2012, con lode, in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'università la "Sapienza" di Roma. È insegnante di storia dell'arte nei licei e guida turistica abilitata. Ama scrivere, viaggiare, e nutre una grande passione per l'arte, il cinema e la musica.

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