Provate per un momento a calarvi nei panni di una persona della fine dell’800 quando per la prima volta, entrata in una sala che per comodità definiremo “cinematografica”, si trova ad assistere ad uno spettacolo emotivamente travolgente. Una realtà riprodotta dove per la prima volta l’immagine quotidiana viene proiettata in movimento su di uno schermo “magico” e dove il mondo tangibile si presenta sotto una forma fino ad allora sconosciuta.
Di certo la meraviglia viaggerebbe di pari passo alla consapevolezza di essere testimoni di una rivoluzione sociale in atto.
Ecco dunque la sensazione che si prova nell’assistere allo spettacolo sperimentale in Realtà Virtuale di e con Elio Germano, presentato alla sezione “Digital alive” della XXXVI edizione del Roma Europa Festival, appuntamento autunnale romano ricco di proposte performative innovative (l’intero programma può essere scaricato qui).
Co – prodotto dal Teatro la Pergola di Firenze e Gold Productions è andato in scena al Mattatoio di Roma lo spettacolo dal titolo “Così è (o mi pare)”, una rivisitazione in chiave contemporanea del “Così è se vi pare” di Pirandello.
Miglior autore e miglior testo forse non sarebbero potuti essere scelti per affrontare le diverse sfumature del soggetto del contendere: “La Verità”.
“Cos’è in fondo la Verità?”
È il quesito che si pone uno dei personaggi, senza proporre una soluzione definitiva, bensì aprendo un rebus filosofico attorno ad una vicenda apparentemente banale che si dipana lungo il corso degli ‘85 minuti di tensione emotiva.
Si ride, si riflette, ci si pone moltissime domande ma la cosa che assorbe maggiormente l’attenzione di noi primitivo pubblico digitale è la modalità di fruizione di ciò a cui si assiste.
Si paga un biglietto per entrare in uno spazio che i nostri occhi contemporanei percepiscono come indescrivibile, tanto quanto lo era la sala del primo cinematografo.
Non è un Teatro nel senso tradizionale, e di tradizionale forse ha solo la dimensione della fruizione istantanea collettiva, più volte sottolineata – quasi a volere giustificare l’assenza di un palcoscenico – dalla guida che fornisce le istruzioni del “gioco”.
Eh si, perché in fondo sembrano tutti degli adolescenti in attesa di entrare in un’astronave, una di quelle che si vedono al Lunapark e dove si indicano le istruzioni per goderci al meglio l’avventura.
Posizionato il visore davanti agli occhi, ci si trova all’interno di questa nuova dimensione dove i personaggi, non più in carne ossa, si aggirano attorno al baricentro dello spettatore muovendosi in maniera disinvolta a 360°.
Certo il limite di non poter interagire con essi pur sentendoli intorno è quasi frustrante; quella potenzialità attualmente appartiene solo alla tecnologia avanzata dei videogiochi come viene spiegato a fine “spettacolo”.
Tale comunque è la consapevolezza della rivoluzione in atto che se ne percepisce la portata facendosi rapire dal contesto e dall’atmosfera, dimenticandosi di essere in realtà una semplice telecamera e finendo con il legittimo dubbio di chiedersi dove andremo a finire.
Non si è a Teatro ma neanche al Cinema, non si è presenti realmente sulla scena ma si è al centro delle interazioni tra gli interpreti che con maestria attoriale vivono l’ambiente .
Alla fine di tutto, quando ci si leva il visore, si osserva in maniera guardinga il proprio vicino quasi ad assicurarsi che sia rimasto lì, lo stesso che avevamo salutato prima di iniziare l’avventura. Si rimane attoniti e storditi alla ricerca di uno sguardo complice che possa aver vissuto le stesse sorprendenti preoccupazioni emotive mescolate a brividi di adrenalina cerebrale.
Un’insolita dimensione del reale per lo Spettacolo dal Vivo
In generale la pandemia ha accelerato ogni tipo di sperimentazione tecnologica raccogliendo i semi già lanciati da tempo in diversi campi del linguaggio artistico, dal multi-mediale al cross-mediale, dall’inter-mediale al trans-mediale ma per i quali l’altare sacro dello spettacolo dal vivo aveva ancora fatto un evidente ostruzionismo pur accettando spesso di dialogarci.
Il dibattito di ciò che si ritiene essere ascrivibile alla definizione di “spettacolo dal vivo” durante questo ultimo anno e mezzo è stato però letteralmente messo in crisi ed il Teatro per istinto di sopravvivenza ha dovuto piegare le sue vele e toccare con mano il futuro.
Parafrasando il filosofo Giorgio Agamben “il teatro è un dispositivo” per la sua capacità di suscitare reazioni nel pubblico, pertanto tale dispositivo con la realtà virtuale ha trovato un nuovo modo di narrarsi.
All’alba di questo ventennio possiamo appropriarci dell’augurio di Sergio Tofano che nel suo pamphlet “Il teatro all’antica italiana” pubblicato nel 1965, con incredibile attualità narrativa auspicava che il raffronto tra il passato e il presente, tra quello che è scomparso e quello che è rimasto può aiutarci ad individuare il peccato originale di ogni nuova mutazione che il Teatro ciclicamente subisce.
Possiamo ribellarci, scalpitare, rivendicare , da uomini del secolo scorso, la nostra esigenza spasmodica di carnalità ma poi nel porsi ragionevolmente nei panni delle future generazioni ci si trova costretti a lasciare che il tempo scorrendo applichi le sue regole evolutive lasciandoci rimanere genuini nel nostro ruolo di “spettatore – testimone” come viene definito da Walter Benjamin dove la narrazione dell’esperienza è considerata il vero atto di raccordo tra il passato ed il futuro.
Certo è che, permettetemi lo sfogo da futuro Boomer, se, come afferma Donatella di Cesare nel suo saggio “Sulla vocazione politica della filosofia”
“gli spalti sono il luogo in cui si può confrontare il proprio punto di vista con quello altrui, giungendo a formulare giudizi comuni”
rimane difficile pensare come la realtà virtuale applicata al Teatro possa ritrovare la sua dimensione civile e politica. Sorge il dubbio di quanto essa possa avere il velato rischio di allontanare da occasioni di confronto con la collettività evitandone ogni possibile giudizio esterno a partire da quello di un applauso mancato di cui si nutre una recita teatrale dal vivo .
Che dire….ai posteri l’ardua sentenza!