“Agli inizi degli anni Sessanta le canzoni di Dylan caddero come una pioggia di folgorazioni poetiche. Ascoltare la sua voce equivaleva a una rivelazione. Con lui il rock’n’roll impara a parlare una nuova lingua. Era uno spiegazzato velluto folk che prendeva possesso del mondo, una travolgente letteratura per un nuovo pianeta.
Per la prima volta qualcuno diceva ai ragazzi: sedetevi e ascoltate. Non c’era da ballare, da battere le mani.
Per tutti gli anni Sessanta ogni suo gesto fu un modello, un archetipo, un manifesto, un’indicazione, una porta aperta verso impreviste possibilità. E non smise di stupire. Aveva appena incantato il mondo come un pifferaio acustico, come un mago della poesia folk, e subito ruppe ancora altri tabù. Imbracciò una chitarra elettrica, roteò stralunato gli occhi, allungò i capelli in cespugli spiritati. Un altro schiaffo. A un ritmo vertiginoso incise canzoni abbacinanti e ben presto realizzò un disco che avrebbe cambiato il volto del rock”. (cit. Ernesto Assante e Gino Castaldo, 33 dischi senza i quali non si può vivere. Il racconto di un’epoca, Giulio Einaudi editore, Torino, 2007, pp. 35-36.)
Era la metà degli anni Sessanta, quando abbandonava la vena folk per il rock elettrico.
Bob Dylan (nome d’arte di Robert Allen Zimmerman, nato a Duluth, in Minnesota, nel 1941) è un’icona mondiale che ha incantato il pubblico con la sua musica per oltre sei decenni. Con il suo personale modo di comporre e di cantare, con il suo stile di vita e la propensione per atteggiamenti anticonformisti, ha fornito un contributo innovativo alla storia culturale, allargando gli orizzonti della musica popolare: nel 2016 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura “per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della musica americana”.
In un brano dell’album Rough and Rowdy Ways (2020), Dylan cita un verso del poeta americano Walt Whitman in Canto di me stesso, “I contain Multitudes” (“contengo moltitudini”). Dylan è un artista dalla genialità vulcanica e poliedrica, la musica non gli basta per raccontare i suoi viaggi, la sua vita e i suoi sogni così densi: è estremamente prolifico e sperimenta una serie infinita di modalità espressive. E’ da questa consapevolezza che nasce una mostra come “Retrospectrum” curata da Shai Baitel (nella galleria 5 del MAXXI a Roma), un’esposizione dedicata a Bob Dylan artista visivo (tra pittura e scultura), un’esperienza multimediale che immerge il visitatore nell’atmosfera dei concerti e della sua grande musica.
“So che dipinge in viaggio, nelle stanze d’albergo. Molte stanze d’albergo, visto che è sempre in giro per il mondo. Dipinge quando non suona. Dipinge molto, dipinge sempre”, ci racconta Richard Prince (Cit. Ecco il mio eroe, in Bob Dylan Retrospectrum, Skira editore, 2022, p. 78). Negli acrilici ed acquerelli di Dylan compaiono cartelloni pubblicitari, automobili, splendidi hotel vecchio stile, prodigi architettonici come i ponti di New York, pompe di benzina, bar, negozi, teatri, sale cinematografiche dell’America suburbana. Sono racconti cittadini in cui ai colori sgargianti si contrappongono interni spesso vuoti e tristi. Atri suoi quadri ritraggono il deserto e strade desolate che si perdono nell’infinito. “Egli sa catturare la bellezza del presente e il fascino della decadenza; esprime i sogni dei cittadini comuni, che magari hanno aperto un negozietto di hamburger o un piccolo motel, rimarcando quanto sia difficile realizzare il sogno americano” (cit. Anne-Marie Mai, L’arte visiva di Bob Dylan in “Retrospectrum”, in Bob Dylan Retrospectrum, Skira editore, 2022, p. 34). Dipinge le rotaie della ferrovia, i treni, i camion, le autostrade. Ritrae gli States attraverso gli anni della sua vita. “Riesce a rendere profonda e poetica un’America fatta di cartelloni pubblicitari e di insegne al neon” (cit. Alain Elkann, Bob Dylan, in Bob Dylan Retrospectrum, Skira editore, 2022, pp. 15-17). Ha bisogno di rappresentare con le sue immagini, i suoi disegni e i suoi quadri ciò che lo colpisce e lo emoziona. In modo particolare la sua America, l’America della sua infanzia e della sua gioventù. L’America del capitalismo, del consumismo, e anche del “sogno”.
Concludiamo con le parole ispirate di Caterina Caselli: <<Bob Dylan non si può giudicare con il nostro metro, è davvero un artista unico e poliedrico: ha scritto libri, dipinge, disegna, ricicla cancelli rotti e li trasforma in sculture. Ha le sue regole di vita, e a quelle si attiene. Che usi le parole o i colori, è un poeta, punto. Sono passati oltre sessant’anni dall’inizio della sua carriera ricca e multiforme, e oggi abbiamo finalmente la possibilità di ammirare i suoi dipinti per la prima volta a Roma. Perché c’è voluto così tanto? La domanda bisognerebbe farla a lui, ma temo ci direbbe che la risposta, come al solito, “è nascosta dentro al vento”>> (cit. Caterina Caselli, Io e Bob Dylan, in Bob Dylan Retrospectrum, Skira editore, 2022, p. 182).
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
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