Abstract
M9, con il suo importante impianto multimediale, ricorre per la prima volta all’arte contemporanea per riflettere sul nostro recente passato con i suoi stermini di massa le cui diramazioni ancora oggi scandiscono i nostri giorni. E lo fa con Vedova e la sua capacità di osservazione e interrogazione del presente. E con i suoi quadri che lo stesso artista definiva “territori d’inchiesta”.
Rivoluzione Vedova
Gli spazi del Museo del 900 (M9) a Venezia Mestre ospitano la mostra Rivoluzione Vedova. Il fondamento che sostiene le 130 opere della rassegna, tra installazioni e opere a parete, è la rivisitazione di cinquant’anni di storia del XX secolo con le sue guerre, le sue violenze e ogni tipologia distruttiva su manufatti ed esseri umani, raccontati dall’energia segnica di Emilio Vedova, scomparso a 87 anni nel 2006.
La poetica
Come agisce Vedova quando pensa un’opera, la progetta, la realizza? La sua poetica risente della liquidità che si respira a Venezia. Trasfigurata dall’artista nell’intensità delle macchie, nei frammenti, nelle compresenze, negli accostamenti accesi delle campiture. Una poetica che testimonia un’idea della vita concepita come contrasto, spaccatura, mancanza di unità, scontro.
Nel disco Senza titolo del 1996/97, dopo un energico corpo a corpo con la pittura di Tintoretto che sfocia nella Crocifissione del 1942, Vedova riprende il soggetto, materializzandolo in un palo che lacera lo spazio dell’opera. Procurandogli una ferita scomposta difficilissima da risanare. Sono tagli non accostabili a quelli di Fontana che con un impatto chirurgico sfiorano dolcemente la tela. Quella di Vedova è un attacco, una devastazione che non lascia indifferenti. Di fronte alla contorsione delle linee, agli agglomerati convulsi dei segni , come scrive Massimo Recalcati, il centro si fa evanescente. L’io si destruttura. Perde rilevanza.
La forma
Tutto ciò non vuol dire che il vitalismo energetico dell’artista veneziano scorra senza filtri sulla tela come una pulsione che abdichi ad ogni tipo di controllo linguistico. Ogni opera in quanto tale implica una necessaria mediazione formale. Anche in Vedova, lontano dal lirismo del dripping, la violenza traumatica del gesto non esclude la progettazione formale. Senza la quale ci sarebbe il collasso dell’opera.
La mostra
Sono questi i presupposti per seguire al meglio i due filoni narrativi, scelti dalla curatrice Gabriella Belli, che articolano l’iter espositivo. Al centro del salone di 1300 metri quadrati all’ultimo piano del museo mestrino, Belli ha voluto tre grandi installazioni. A richiamare la visione scelta da Vedova, nel secondo dopoguerra, che utilizza il linguaggio astratto giudicandolo il linguaggio della libertà. Traducendolo nel gesto creativo che dice anche la militanza per i diritti civili e il pacifismo, l’impegno contro l’inganno delle ideologie e la brutalità delle dittature.
Ecco quindi l’“assurdo diario” (Absurdes Berliner Tagebuch ’64), uno dei cicli più drammatici di plurimi. Testimonianza della decostruzione voluta da Vedova nei confronti dell’impostazione statuaria, piramidale, a favore di un’opera aperta nello spazio dalle forme irregolari e scomposte. Per esprimere la sua protesta politica ed il suo malessere di fronte al muro di Berlino. Il ciclo comprende 7 elementi realizzati con strutture a cerniera, di cui due sospesi, che occupano la sala.
E la volta poi dei Tondi e Dischi (1985-1995) dove Vedova delinea, colora, incolla in un apparente disordine, ricusando all’egemonia del centro.
La terza installazione, in continuum, compenetrazioni/traslati 1987/1988, è un ciclo concepito e concretizzato tra il 1987 e il 1988. Dipinti bianco su nero e nero su bianco, creati con una particolare tecnica chiamata da Vedova pittura cieca, in una sorta di accumulazione senza inizio e senza fine. Immagini mutevoli per narrare la costante precarietà che caratterizza l’esserci.
Intorno alle tre installazioni sono state collocate le opere che gravitano sulla sofferenza e sulla resistenza: il Diario del partigiano -Agguato, Fucilazione, Bivacco-; il Diario di Corea dettato dalla guerra che tra il 1950 e il 53 devasta la penisola asiatica. Varsavia del 1960 che rappresenta la città con pennellate fosche e turbate.
Informazioni
Luogo: MUSEO M9 https://www.m9museum.it/
Indirizzo: via Pascoli 11 Mestre – Venezia – Veneto
Quando: dal 03/05/2023 – al 26/11/2023
Autori: Emilio Vedova
Curatori: Gabriella Belli
Generi: arte contemporanea, personale
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