“Storytelling” è da qualche decennio una parola usatissima, che può esser tradotta in italiano come raccontare una storia.
E’ una tecnica di comunicazione che prevede un racconto, che ha lo scopo di attirare l’attenzione di uno specifico pubblico e spingerlo ad una determinata azione. Di solito l’acquisto di un prodotto.
Ormai siamo una “civiltà delle immagini”, data la crescente centralità della comunicazione visiva nella cultura di massa. Il cinema, la televisione, la rete hanno ingigantito a dismisura l’importanza dell’immagine sulla parola, in fondo non si dice “Un’immagine vale più di mille parole” ?
Perciò si incontra spesso anche l’espressione visual storytelling, l’arte di raccontare per immagini, usata più prosaicamente come strategia di marketing che, attraverso un processo narrativo visuale, coinvolge lo spettatore attraverso un’esperienza visiva ed emotiva.
Visual storytelling
Come sempre “nulla di nuovo sotto il sole” e, attraverso un piccolo viaggio nello spazio e nel tempo, scopriremo le origini del visual storytelling.
In Brasile a partire dal XVIII secolo troviamo la cosiddetta Literatura de cordel (letteratura della cordicella), manifestazione della cultura popolare, diffusa soprattutto nel Nord-Est del Paese. Questa forma di raccontare acquisterà grande forza soprattutto tra il 1930 e 1960.
La principale caratteristica è l’oralità e la presenza di immagini. È un modo di informare divertendo ed è generalmente in versi. La forma abituale erano i “foglietti”, piccoli libri con una xilografia in copertina, che venivano esposti appesi ad una corda.
Visto il grande numero di analfabeti, una volta ascoltato il racconto, attraverso l’immagine era possibile replicarlo una volta tornati a casa.
Cambiando continente in Giappone abbiamo il Kamishibai, che potremmo considerare il nonno dei manga.
Il Kamishibai, traducibile come “dramma di carta”, è un antico metodo di raccontare storie, che ha avuto la sua massima espressione nel periodo del primo dopo guerra fino agli anni ’50.
Si tratta di è un teatro d’immagini utilizzato dai cantastorie, che, dotati di una valigetta in legno, vi inserivano delle tavole stampate sia davanti che dietro: da una parte il disegno e dall’altra il testo.
Lo spettatore vedeva l’immagine mentre il narratore leggeva la storia.
Parlando sempre di cantastorie torniamo in Italia e, in particolare, in Sicilia, qui troviamo personaggi seguitissimi, che si spostavano di città in città, raccontando con l’aiuto del canto e spesso di un cartellone una storia, un fatto, una favola.
Anche loro, come i brasiliani vendevano spesso foglietti recanti la storia raccontata e creavano le loro versioni di alcuni racconti antichi o raccontavano truculenti fatti di cronaca.
Famosissimo ad esempio il racconto della storia della Barunissa di Carini, di cui pare ci siano più di 500 versioni. Forse qualcuno se lo ricorda ancora, “L’amaro caso della Baronessa di Carini” è stato anche uno sceneggiato televisivo di enorme successo negli anni Settanta.
Facendo un enorme salto indietro nel tempo ci spostiamo ora in Etruria nel VII secolo a. C. in quel periodo storico chiamato Orientalizzante.
In questa epoca furono realizzati tre vasi, legati al consumo di vino, un’ olpe in bucchero, un’oinochoe e un cratere in ceramica.
L’olpe e l’oinochoe servivano per versare il vino ai commensali, mentre il cratere, al centro della sala, era usato come grande contenitore per il “cocktail” per i partecipanti alla festa, che difficilmente avrebbero bevuto vino puro. Il vino era infatti allungato con acqua e tagliato con spezie e altri additivi.
Provenienti dal territorio di Cerveteri sono ora conservati al Museo di Villa Giulia (l’olpe) e ai Musei Capitolini (l’oinochoe e il cratere).
Tutti e tre sono decorati e riportano episodi legati al mito greco, non sempre pienamente comprensibili e forse un po’ rielaborati da narrazioni locali.
Immaginate i signori etruschi sdraiati a banchetto attorno al cratere e qualcuno al centro che raccontava, probabilmente col canto, delle storie per per intrattenere gli ospiti.
Faceva rivivere, attraverso le immagini del cratere, il terribile episodio dell’accecamento di Polifemo e, mentre la festa continuava e dall’olpe e dall’oinochoe veniva versato il vino, l’occhio cadeva sulle immagini incise sui recipienti e allora si susseguivano le storie degli Argonauti e della terribile maga Medea, le sventure di Arianna, ingannata da quell’imbroglione di Teseo.
… che poi i banchetti etruschi finissero probabilmente in maniera “vivace”, ce lo mostrano le immagine osé sull’oinochoe della Tragliatella.
Il cratere conservato ai Capitolini reca inoltre la firma del vasaio, un immigrato greco dal nome curioso: Aristonothos, che tradotto sarebbe “il migliore tra i bastardi”. Evidentemente doveva essere un tipino niente male !
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
Leggi anche Foro mio, quanto mi costi!