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Street Art, una breve storia dai graffiti a Ostiense

murales baglione
Herbert Baglione, Pianeta Terra. Acrilico su muro, 2011.

Street Art significa letteralmente arte di strada ed è un nome piuttosto vago per indicare una serie di forme espressive varie ed eterogenee che però hanno una cosa in comune: il voler esprimersi liberamente sui muri delle strade, dei palazzi e delle case delle città, dei quartieri e delle aree metropolitane più disparate, a volte (spesso) problematiche senza cristallizzarsi nei musei e nelle gallerie. Attraverso un dialogo continuo con le comunità che abitano quelle zone nasce una narrazione nuova che, partendo dalla tradizione e arrivando alla contemporaneità, riqualifica e ri-significa il luogo che la ospita.

Street Art: una storia

Fare una storia della Street Art non è facile in quanto i prodromi di quest’arte si possono trovare dovunque, e soprattutto in tutte le epoche storiche, partendo addirittura dai graffiti preistorici delle grotte di Lascaux e Altamira.
L’esigenza, identitaria di scrivere, di disegnare, anche solo di testimoniare la propria esistenza su una parete è nata ben prima della scrittura ed è insita nella natura umana.
L’importanza dei muri quindi come supporto dell’espressione artistica nasce da lontanissimo e si evolve continuamente nel corso dei secoli.

blu murales Ostiense
Murales di Blu su Via del Porto Fluviale © Artribune.com

Sebbene ci siano parecchi episodi significativi all’interno della Storia dell’arte relativi a quella che potremmo definire un’arte murale, come per esempio la pittura parietale ad affresco del Medioevo, gli antecedenti più diretti e più strettamente correlati alla Street Art, li possiamo rintracciare a partire dal muralismo degli anni ’30 in Italia ed in Sud America (in particolar modo in Messico) e nella nascita di quella che viene considerata una prima e vera forma di cultura urbana negli anni ’70-’90 in Europa ed in America.

Gli antecedenti: il Muralismo Internazionale

Il muralismo internazionale degli anni ’30 rappresenta sicuramente una tappa molto importante all’interno di quel percorso storico-critico che porterà alla Street Art.
Nell’Italia fascista e nel Messico post rivoluzionario l’opera d’arte murale, per la sua ontologia, assume un carattere di valore collettivo, educativo e propagandistico.
In Italia il concetto futurista di plastica murale e la pittura murale del Manifesto del 33 di Mario Sironi, sono volti al superamento sia della vecchia idea di pittura sia dell’affresco.
La prima vuole sfruttare il polimaterico per aumentare e ricercare nuove, numerose ed eterogenee capacità espressive; la seconda addirittura sostiene di contenere in sé il seme di quello stile fascista, quindi educatore e propagandistico, per via della sua capacità di essere al tempo stesso aulica e moderna.

In maniera analoga, seppur partendo da presupposti diversissimi, nasce il muralismo messicano. Recuperando i grandi dipinti murali della pittura pre-colombiana, Rivera, Orozco, Siqueiros intendono proporre un’arte popolare, ideologica, narrativa ed educatrice: un vero e proprio libro di storia a cielo aperto come si vede dalla Storia del Messico, il murales di Diego Rivera presso il Palazzo Nazionale di Città del Messico.

Il Muralismo degli anni ’70 in Italia e in Francia

In Cile a partire dagli anni ’70 Pinochet pone fine, attraverso distruzioni, arresti e torture, alla stagione del muralismo dei giovani di Unidad Popolar, dando però vita alla creazione di numerosi murales di solidarietà agli artisti ed al popolo cileno, nati in Europa spesso su impulso degli stessi artisti esuli.
Questo episodio si colloca all’interno della più vasta stagione del muralismo degli anni ’70 che in special modo in Francia ed in Italia, assume i contorni di vere e proprie esperienze collettive tra artisti ed associazioni di quartiere che ben prefigurano la volontà di riqualificazione urbana che anima la Street Art attuale.

Queste opere sono sempre politiche e a differenza del muralismo di Stato, nel fascismo degli anni ‘30, sono legate alla contestazione, realizzate in clandestinità e sempre accompagnate da slogan, come quelli del Maggio Francese.
A questi fanno eco, in Italia, gli slogan degli Indiani Metropolitani nel ’77, sempre ironici e provocatori.
A queste esperienze si intreccia la nascente contro-cultura dei manifesti, dei tazebao, e dei giornali murali. Nella California della psichedelia o nella Francia della rivolta studentesca, i muri diventano vere e proprie pagine di una cultura e di un’informazione veramente democratica, come recita il manuale francese, nel 1972, di autoproduzione di questi fogli :

Il nostro lettore è nella strada. Con il controgiornale tutti i muri hanno la parola. […] È l’unico giornale con cui non ci si può pulire il culo.

Ma è sicuramente nell’esperienza della cosiddetta arte dei graffiti e del Writing negli anni sessanta a New York che la Street Art trova la sua culla e le sue radici.

Il Writing

Il Writing nasce nelle più importanti città americane come N.Y., Philadelphia, Los Angeles e rappresenta l’arma più affilata per combattere la nascente guerriglia tra le zone più disagiate, definite proprio in questo periodo ghetti urbani, ed il centro del business district, espressione di quella borghesia che quelle aree le ha ghettizzate e lasciate ai margini della città.

Come scrive Jean Baudrillard in SuperKool Insurections par les signes, i giovanissimi writer in lotta tra di loro nel ghetto cominciano a bombardare (bombing) le pareti di tutta la città e della metropolitana, che collega proprio quel ghetto al resto della città, con le loro firme ( le tag).
È una protesta sociale, un’affermazione identitaria che queste generazioni dimenticate portano avanti per affermare il diritto loro, e del loro quartiere di appartenenza, di esistere e di far parte dell’intera comunità cittadina e urbana.
Le tag sono firme, ma anche espressioni di un codice apparentemente incomprensibile a chiunque sia al di fuori delle loro bande (crew), con cui protestano e attaccano i muri di quella città che li ha esclusi.
I primi grandi writer infatti come Taki183 o Julio204 accompagnano alla loro firma il numero della loro strada.

Con l’evoluzione del writing, il gesto del bombing comincia ad assumere una valenza anche estetica, nasce il cosiddetto lettering espressione di una ricerca stilistica; oltre la quantità delle scritte fatte, adesso conta anche la qualità.
Nascono veri e propri stili tipografici come le bubble-letters dalle forme arrotondate o le bar-letters fortemente squadrate.
La babele di firme che popola i vagoni della metropolitana si riduce di numero ma aumenta in proporzioni. Nel 1972 Super Kool 223 crea i primi capolavori top to bottom che ricoprono l’intera superficie del vagone metropolitano.

I Graffiti

Nel 1974 compaiono i primi soggetti extra grafici e dai quartieri come il Bronx a New York nasce un vero e proprio movimento artistico che va oltre il writing: i Graffiti.
Nascono spazi artistici come Futura Moda nel 1979 o Documenta 7 dove si cominciano a produrre opere anche su tela. Da queste esperienze nascono grandi artisti, una volta writer, come Lady Pink, Jean-Michel Basquiat e Keith Haring, figure queste ultime che sublimano la graffiti art ma al tempo stesso se ne discostano.

Ovviamente il passaggio dal Writing alla Street Art non è stato così immediato e del resto come già specificato all’inizio, la Street Art è un movimento troppo eterogeneo per poterla circoscrivere in un percorso regolare.
Bisognerà attendere i primi anni Novanta per trovare degli artisti come il parigino Blek le Rat (attivo in realtà fin dagli anni Ottanta) che possiamo, seppur in maniera riduttiva, catalogare come veri e propri street artist, fino ad arrivare agli anni Duemila quando questo movimento comincia a farla veramente da padrone, diventando uno dei movimenti artistici più diffusi al mondo.

la Street Art: una eterogenea arte di strada

L’affermarsi di artisti del calibro di Shepard Fairey (meglio conosciuto con il nome di Obey) e Banksy ha contribuito non poco a rendere la Street Art un movimento ormai del tutto autonomo dai suoi antecedenti, e soprattutto lo ha posto sotto l’occhio della critica e del mercato.
Soprattutto dagli anni Duemila questo movimento si è contaminato sempre di più attraverso commistioni con forme d’arte diverse come la musica, i video e la fotografia, ha definitivamente varcato la soglia delle gallerie e dei Musei e addirittura ha cominciato a ricevere commissioni pubbliche ed in molti casi istituzionali (nonostante la Street Art della controcultura, dei centri sociali occupati, dei rave, della cultura hip-hop e delle pratiche neo situazioniste continui ad esistere ed in molti casi i binari paralleli su cui viaggia si incrociano con l’altra forma istituzionalizzata nei suoi protagonisti).

murales ostiense
Murales di Blu al Quartiere Ostiense

Differenze tra Street Art e Writing

Ma ciò che più profondamente è mutato dal Writing è proprio il rapporto con il muro, con il quartiere e con la città che li circonda.
Non è soltanto una diversa concezione estetica a marcare le differenze tra questi due movimenti, gli street artist infatti lavorano più sulla figurazione e la riconoscibilità dell’immagine che sulla cripticità della lettera, ma il rapporto tra legalità e illegalità e soprattutto un diverso intento politico.

La Street Art non è più un’azione di guerriglia ma rappresenta un modo per sanare le spaccature tra la società e le comunità urbane emarginate.
Non si vuole “invadere” la città ma ricostruire un legame tra il quartiere e la comunità che lo abita.
L’intento, spesso anche in collaborazione con le istituzioni, è quello di riqualificare le aree più problematiche, riannodando i fili di una narrazione interrotta da uno sviluppo urbano senza regole che ha distrutto la storia e le radici della popolazione nella propria città di appartenenza.

Il Quartiere Ostiense a Roma

Partendo proprio da queste basi credo che gli interventi nel quartiere Ostiense di Roma rappresentino un vero e proprio manifesto programmatico di questa nuova concezione di arte urbana.
Ostiense è un quartiere che nasce in seguito ad una profonda vocazione industriale all’indomani dell’Unità d’Italia nella Roma di Ernesto Nathan.
Il Porto Fluviale, il Gasometro, la Centrale Montemartini, i Mercati Generali, tutto avrebbe dovuto contribuire a fare del quartiere un importante polo industriale e commerciale.
Questo ambizioso progetto in realtà non venne mai completato e dal Fascismo in poi l’area ha avuto un lento declino, fino a rinascere dagli anni Ottanta e Novanta grazie alle vicine Testaccio (e dagli anni Duemila) Garbatella diventate il centro di quella movida della Roma della tradizione.

Oggi i suoi siti di grande interesse storico-artistico come la Piramide Cestia, Porta San Paolo, il Cimitero Acattolico e la Centrale Montemartini (diventata un importante esempio di archeologia industriale e una delle sedi dei Musei Capitolini) uniti ai locali, ai pub e ai ristoranti sempre più presenti, hanno reso questo quartiere come il centro ideale per la nascita di uno dei poli della Street Art italiana.

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Roa, Jumping Wolf Falling. Acrilico e spray, 2014.

Ostiense Street Art District

Nel 2010 un progetto non-profit nato da Stefano Antonelli e Francesca Mezzano con il patrocinio dell’VIII Municipio, 999 Contemporary, declinato in 999Gallery, Avanguardie Urbane e Centro Studi delle Arti Urbane e Contemporanee, ha lanciato la prima idea di una curatela di quartiere.
Non più quindi la Galleria d’arte o il Museo, ma la città stessa che diventa un enorme museo a cielo aperto, costruito grazie alla collaborazione e al dialogo continuo tra gli artisti ed i suoi abitanti.
A partire da questo impulso straordinario e continuando con gli Outdoor Festival, progetto nato sempre nello stesso periodo da NuFactory che ha messo a disposizione degli artisti gli spazi pubblici dove poter intervenire sul tessuto urbano e sociale, i più grandi street artist italiani e stranieri hanno lavorato per trasformare Ostiense in uno street art district (celebrato anche dal NY Times).

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Sten Lex, Senza Titolo. Stencil poster, 2011.

Ancora oggi si possono ammirare sulle pareti dei palazzi del quartiere alcuni dei murales più importanti a livello internazionale come la gigantesca lupa dello street artist belga Roa, che campeggia colossale sulla facciata di un palazzo a via Galvani. Con il suo aspetto da roditore rappresenta una città, Roma, simboleggiata dalla lupa, sempre in bilico tra il risorgere e il precipitare nel degrado, rappresentato dal ratto di cui la lupa assume molti caratteri. Uno davanti all’altro a Via delle Conce si fronteggiano lo stupendo murales dello street artist brasiliano Herbert Baglione che con le sue atmosfere da Secessione Viennese illustra l’alienazione dell’individuo nelle megalopoli moderne, e lo stencil-poster del duo Sten&Lex, uno straordinario ritratto a mezzatinta dei pionieri della ritrattistica urbana.

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Iena Cruz, Hunting Pollution. Vernice airlite, 2018. © deangelisre.com

Ed infine sempre uno di fronte all’altro, su via del Porto Fluviale, il parietale airone “mangiasmog” di Iena Cruz (realizzato con una vernice in grado di bonificare gli agenti inquinanti) cerca di rendere di nuovo pulita l’area dove l’umanità travagliata di Blu (uno dei più importanti street-artist internazionali che il Guardian ha inserito tra i primi dieci al mondo) prova ad affermare il suo diritto alla casa, dalle pareti di un palazzo occupato, accalcandosi su di una gigantesca nave in mezzo all’oceano, citazione da Turner, che rappresenta proprio il diritto alla casa, anche a rischio di affogare nel mare dell’indifferenza.

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Circa l'autore

Francesco Ricci

Francesco Ricci

Dopo aver studiato al Liceo Classico, si laurea nel 2009 in Storia dell'Arte Moderna e nel 2012, con lode, in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'università la "Sapienza" di Roma. È insegnante di storia dell'arte nei licei e guida turistica abilitata. Ama scrivere, viaggiare, e nutre una grande passione per l'arte, il cinema e la musica.

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