Nove grandi fotografi della Magnum Photos entrano nel set de Gli spostati (The Misfits), il film diretto da John Huston nel 1961 per documentarne il dietro le quinte. Sessanta scatti che sono vere immagini d’arte.
Al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, nella mostra “The misfits by Magnum Photographers” sono state assemblate sessanta immagini ambientate nel deserto del Nevada, scattate da grandi fotografi durante le riprese del film ‘Gli spostati’ con Marilyn Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift e diretto dal regista John Huston. L’esposizione è curata da Andrea Holzherr.Il cast eccezionale è dovuto alla prima sceneggiatura cinematografica di Arthur Miller, all’epoca marito della celebre diva. L’agenzia francese appena citata non si lascia sfuggire l’occasione e invia sul set per documentare il dietro le quinte del film, nove grandi fotografi del Novecento che ottengono dalla produzione l’entrata esclusiva: Eve Arnold, Cornell Capa, Henri Cartier-Bresson, Bruce Davidson, Elliott Erwitt, Ernst Haas, Erich Hartmann, Inge Morath e Dennis Stock. Ognuno di loro immortala come vivono gli attori sul set. L’atmosfera che si respira. Le fasi delle riprese. I vari stati d’animo vissuti dai protagonisti: ansia entusiasmo tensione debolezza speranza stanchezza. Suggestioni varie che non sfuggono agli occhi attenti degli autori. E ci riescono realizzando scatti di notevole valore. Contribuendo a rendere The misfits il film più documentato dell’epoca. Fra quelli più famosi bisogna ricordare la celebre foto di gruppo con gli attori, il regista e lo sceneggiatore Arthur Miller che non molto tempo dopo avrebbe divorziato da Marilyn, realizzata da Elliot Erwitt. L’opera è’ stata realizzata inizialmente a colori, ma è più nota nella sua versione in bianco e nero. E’ un lavoro che si presta a qualche riflessione. Anche se dovrebbe essere una foto di gruppo, in realtà non lo è. E’ priva di atmosfera.
I protagonisti della foto sono sistemati molto bene. Ad ognuno di loro è assegnato lo spazio giusto. Sono dei professionisti e sanno come mettersi in posa. Ma non c’è spirito di squadra. Non c’è empatia. C’è qualcosa che non quadra.
Marilyn, all’epoca in preda all’alcol e agli psicofarmaci si dimostra inaffidabile, dimentica le battute, anche se ora cerca di offrire il profilo migliore, esponendo la fisicità che la resa famosa. Ma lo sguardo, la postura, le labbra, tradiscono qualcosa che va oltre l’evento: smarrimento, sofferenza.
Huston tiene le braccia conserte, come a sottolineare un certo distacco da chi lo circonda. Quella stampata sul viso è una smorfia più che un sorriso, comunicando irritazione. Trasuda inequivocabilmente rigetto e nervosismo. Miller, con gli occhiali, sembra lontano.
Montgomery Clift ha problemi di autostima. Ha sempre più difficoltà a nascondere la propria omosessualità. Guarda in macchina ma non riesce a nascondere una certa perplessità. Come se desiderasse trovarsi in un altro posto. Come se tutti fossero catturati da qualcosa che ne condiziona il comportamento. Ed Erwitt si dimostra un grande interprete. Più che dire o raccontare vuole esprimere ciò che si cela dietro l’ostentata, loro malgrado, corporeità della star hollywoodiane.
Inge Morath immortala Marilyn mentre sta provando dei passi di danza in un ambiente solitario che sembra non pesarle.
Eve Arnold la ritrae in un momento di massima concentrazione, nella sua auto in Nevada, mentre studia le battute. Un catturare quell’attimo che sembra velare l’interiorità sconvolta dell’attrice.
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