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The Purple Line. Il potere delle immagini di Hirschhorn

Immagini pixel-collage
Thomas Hirschhorn. The Purple Line © Giorgio Benni, courtesy Fondazione MAXXI

Lungo una linea labirintica di 250 metri si snoda il percorso, disturbante ma fatalmente attraente, di 118 opere attaccate ad un’imponente parete viola di 6 metri che uniscono fotografie di moda a immagini di corpi brutalmente mutilati. Si tratta di The Purple Line, la spiazzante mostra di Thomas Hirschhorn al Maxxi di Roma.

La linea viola nella teoria dei colori rappresenta un confine virtuale tra lo spettro dei rossi e quello del violetto. Corrisponde al punto di massima saturazione dei due. In questo spazio si ha un colore puro, talmente carico che risulta quasi fastidioso da guardare. Un colore disturbante che attrae lo spettatore e lo respinge allo stesso tempo. Le opere in mostra sono pixel-collage: composizioni formate da foto pubblicitarie ritagliate da riviste di moda, affiancate ad immagini di corpi mutilati presi dal web. Realizzate tra il 2015 e il 2017.

Le due immagini non si trovano sullo stesso piano concettuale, le foto prese dalle riviste patinate sono pixellate mentre le altre no. In questo modo il senso comune viene invertito. Ciò che era stato creato appositamente per essere visto, per attirare l’attenzione, viene nascosto. Ciò che, al contrario, la nostra società considera disturbante e perciò da oscurare, viene mostrato in tutta la sua cruda essenza. Questo singolare cortocircuito svela la realtà in tutte le sue contraddizioni, “squarciando” ogni ipocrisia.

Il collage

Per comporre le sue opere Hirschhorn utilizza uno degli strumenti più importanti e significativi dell’arte contemporanea: il collage. Come sottolinea lo stessa artista:

«Il collage è un’interpretazione, un’interpretazione vera, reale, completa»

Nato in ambito dadaista e surrealista, e sviluppatosi grazie al Cubismo prima, e alla Pop Art poi, attraverso questa tecnica unisce due immagini/concetti che non erano pensati per “stare insieme” per conferire loro un nuovo significato. Nonostante una storia così importante alle spalle, il collage è una tecnica molto semplice, immediata ed incisiva. È alla portata di tutti perché, scrive Hirschhorn:

«Tutti, una volta nella vita, hanno fatto un collage e tutti sono stati coinvolti in un collage»

È un mezzo talmente semplice e veloce da risultare poco professionale, immaturo, addirittura “sospetto”. Eppure proprio queste sue caratteristiche lo rendono un mezzo “esplosivo”. Il collage è resistente e scavalca qualsiasi intenzionalità espressiva permettendo all’artista stesso di confrontarsi non solo con tutta la violenza e il caos del mondo, ma anche con le sue complessità e contraddizioni. Questo perché non prevede una sintesi, ma solo un confronto. Esso ci presenta il mondo non nella sua unità, ma come un insieme di frammenti disparati esattamente come siamo noi, continua Hirschhorn:

«Sono parte del mondo e tutta la violenza del mondo è la mia stessa violenza, tutte le ferite del mondo sono le mie stesse ferite. Tutto l’odio è il mio odio»

Ma i pixel-collage rappresentano anche una critica al mondo dell’arte

Bidimensionali, sproporzionati, spesso enormi (basti pensare che uno di questi non è esposto in mostra perché troppo grande per entrare negli spazi espositivi) eppure volutamente fragili.
Composti da immagini appiccicate con lo scotch, senza telaio, incartati con una carta da fiori trasparente. È proprio questa la loro artigianalità, è ciò che li rende così precari che ci spinge ad interrogarci sulla durevolezza del mezzo espressivo. Le immagini dei corpi martoriati sono stampate ed ingrandite direttamente dal web, dove ad oggi non sono più disponibili.

 Hirschhorn
Thomas Hirschhorn. The Purple Line © Giorgio Benni, courtesy Fondazione MAXXI

L’opera d’arte diventa così un tutt’uno, anche nella forma, con i concetti rappresentati. Eterogenea, precaria, impossibile come unità, ma comprensibile solo nella sua frammentarietà. Per questo motivo anche i pixel-collage non vanno presi singolarmente ma “letti” sempre tutti insieme come frammenti essi stessi di un unico monumento.

La tecnica della pixelizzazione

Da solo il collage non basta a definire questa imponente operazione di “ri-significazione”. Infatti Hirschhorn dopo aver accostato arbitrariamente due immagini diverse, su una delle due usa la tecnica della pixelizzazione.

«Il mondo ha bisogno di essere depixellato»

Ispirato dal lavoro dell’artista tedesco Otto Freundlich, l’artista tramite la pixelizzazione e la de-pixelizzazione intende dare una risposta formale al concetto di autorità e de-responsabilizzazione che c’è dietro alle immagini censurate o soltanto nascoste al nostro sguardo. Il suo è un gesto estetico che utilizza i pixel, incollati sulle immagini con la tecnica per l’appunto del collage, come mezzo per l’astrazione.

Astrarre un’immagine o parte di essa vuol dire creare una nuova forma

Come scrive l’artista:

«Non c’è nulla di irrappresentabile a parte ciò che non ha forma»

In questo modo tutto può essere visto e rappresentato, anche ciò che è considerato inopportuno da rappresentare.
L’astrazione per Hirschhorn è un pensiero politico, tramite essa l’artista si confronta con la realtà, ridefinendo l’immagine lungo “le dinamiche di desiderio e verità”.

Verità e autenticazione

Nella società attuale il concetto di verità sembra essere definito a priori. Pixellare un’immagine permette di censurare ciò che non deve essere mostrato, ciò che viene giudicato “peggiore”. È frutto di un arbitrio morale aprioristico, visto che qualcuno ha già deciso per noi ciò che è sbagliato osservare e perciò neanche ce lo mostra. Ma la pixelizzazione è diventata anche una sorta di autenticazione dell’immagine. Ciò che è pixellato è ciò che l’Autorità ha ritenuto non idoneo. Quindi solo quando un’immagine è stata pixellata diventa vera, autentica perché è presa da una fonte autorevole che imprime all’immagine la sua morale e la sua verità.

The Purple Line
Thomas Hirschhorn. The Purple Line © Giorgio Benni, courtesy Fondazione MAXXI

Quindi invertendo questo processo, Hirschhorn ci dona di nuovo il libero arbitrio dello sguardo. Libera l’immagine dalla censura preventiva dell’Autorità. Ma ci mette anche in guardia dal bombardamento delle migliaia di immagini pubblicitarie a cui siamo sottoposti ogni giorno che annullano il nostro giudizio trasformandoci in meri clienti, e contro cui (a differenza delle altre) non abbiamo difesa. Ma de-pixellare è anche un gesto che ci mette di fronte alle nostre responsabilità: non è solo la censura che ci nasconde le immagini. Anche noi stessi selezioniamo cosa vedere. È vero che spesso scartiamo delle immagini in base ad un’eccessiva “sensibilità“? Ma cosa vuol dire essere “sensibile“?

Sensibilità e iper-sensibilità

Partiamo da quest’ultima domanda. Hirschhorn distingue tra sensibilità ed iper-sensibilità.
Uno sguardo sensibile è uno sguardo vigile, attento. È “sensibile” a ciò che gli sta intorno, è desideroso di confrontarsi con il mondo, con il reale senza filtri.
Uno sguardo ipersensibile invece è uno sguardo timoroso, addormentato, intorpidito che tende ad escludere ciò che lo spaventa o lo turba per auto-proteggersi.

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Thomas Hirschhorn. The Purple Line © Giorgio Benni, courtesy Fondazione MAXXI

Partendo da questi concetti i curatori hanno deciso di non imporre nessun divieto e nessuna limitazione alla mostra, nonostante le immagini esplicite.
Ognuno può decidere in maniera responsabile se avventurarsi in questo percorso pieno di spazi aguzzi dove non esiste un inizio o una fine, e confrontarsi con l’immagine “nuda e cruda” o auto-proteggersi evitando questo doloroso confronto.

Tendenza all’iconismo e “bulimia d’immagini”

La scelta di cercare le immagini dei corpi martoriati sul web è un’altra scelta politica.

Hirschhorn non vuole cadere nell’iconismo. Vuole rendere questi morti “commensurabili”, vuole liberarli dal contesto, vuole evitare il giudizio e la domanda “sono buoni o cattivi”? “Sono vittime o carnefici”?
Insegue l’immagine pura non manipolata. Non vuole che nessuna accezione morale precostituita possa influenzare l’immagine ed il nostro giudizio su di essa.

Hirschhorn critica il foto-giornalismo, per questo prende le immagini dal web perché non vuole inseguire la qualità fotografica ma fuggire da quella.
Vuole evitare di proporre una realtà comoda, vuole evitare di trasformare l’immagine in un fatto incontestabile, ma solo testimoniare il suo “essere presente” senza esprimere giudizi qualitativi.

Contestando il procedimento di produzione e di controllo delle immagini, l’artista vuole costringerci a fare i conti con noi stessi.
Tramite il collage e i pixel, Hirschhorn accorcia la distanza tra bellezza e crudeltà. Grazie al “viola” del titolo, così disturbante, ci impedisce di distogliere lo sguardo da ciò che non vogliamo vedere perché ci spaventa. Come sostiene Susan Sontag in Regarding the Pain of Others:

Possiamo sentirci obbligati a guardare fotografie che documentano grandi crimini e crudeltà.
Ma dovremmo sentirci altrettanto obbligati a riflettere su quel che significa guardarle, sulla capacità di assimilare realmente ciò che esse mostrano.

In questo momento storico la “bulimia d’immagini“, specie attraverso i social media, ci ha anestetizzato lo sguardo e cambiato i nostri canoni morali ed estetici, mostrandoci solo ciò che è considerato bello, giusto, autentico a priori presentandolo come un “dato di fatto“.

Hirschhorn, invece, ci sprona a recuperare il nostro sguardo critico, imprescindibile per capire veramente il mondo che ci circonda. Ritornare a vedere è l’unico modo per comprendere la complessità degli avvenimenti senza cadere in pericolose banalizzazioni.

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Francesco Ricci

Francesco Ricci

Dopo aver studiato al Liceo Classico, si laurea nel 2009 in Storia dell'Arte Moderna e nel 2012, con lode, in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'università la "Sapienza" di Roma. È insegnante di storia dell'arte nei licei e guida turistica abilitata. Ama scrivere, viaggiare, e nutre una grande passione per l'arte, il cinema e la musica.

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