Attraversata l’Appia Nuova in corrispondenza di via dell’Arco di Travertino si giunge all’ingresso del Parco Archeologico della via Latina, inaugurato nell’ottobre 2014, secondo una splendida nuova cornice di interventi per la messa in sicurezza, pannelli didattici bilingue, “intriganti” allestimenti museali e impianti di illuminazione hi-tech per i sepolcri ipogei.
Un’imponente opera di risistemazione del Parco, messa in atto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dall’attuale Parco Archeologico dell’Appia, oggi consente alla cittadinanza e ai forestieri di spaziare su un’area monumentale, ampliata per l’occasione, di quasi 2 ettari.
Qui si conclude il III miglio della via Latina, per dar luogo al IV, che si estenderà fin circa alla via del Quadraro. Al centro del Parco la strada riemerge per quasi 500 m con un basolato in ottimo stato di conservazione, affiancato da marciapiedi antichi. Si contano ancora i solchi dei carri che vi transitavano. Ai lati della carreggiata sono dislocati sepolcri di cui si conserva gran parte dell’elevato, scoperti con gli scavi che Lorenzo Fortunati, insegnante con la passione per l’archeologia, condusse in questa zona tra il 1857 e il 1858.
Alle indagini di Fortunati seguirono quelle volute da Pio IX (1858) e, con l’Unità d’Italia, il definitivo esproprio dell’area funzionale alla costituzione del Parco.
Primo monumento che s’incontra sul lato destro della via è un Sepolcro “a dado” – tipologia sepolcrale di solito connessa con la cremazione – di cui è stato asportato il paramento originario e che oggi ricorda, attraverso un’apposita iscrizione, gli scavi del XIX secolo.
Segue il cosiddetto “Sepolcro dei Cornelii”, dal gentilizio di un’iscrizione citata da Pirro Ligorio nel ‘500 e oggi perduta, o “Barberini”, dall’ultima famiglia aristocratica proprietaria della zona prima della sua annessione al Regno d’Italia.
Il sepolcro, a pianta quadrangolare e realizzato in laterizio rossastro, corrisponde alla tipologia “a tempietto”, riscontrabile spesso, come nei casi della “Torre dell’Angelo”, del Cenotafio di Annia Regilla e del “Colombario Costantiniano”. Il colore rosso dei mattoni contrasta volutamente con il giallo dei laterizi posti a sottolineatura delle modanature architettoniche. Lo sviluppo verticale del monumento prevedeva un’articolazione su tre piani, due sopraterra più uno ipogeo. L’ingresso al piano terra ed al primo piano si trova sul retro del monumento, mentre agli ambienti sotterranei si accedeva dall’esterno mediante due rampe di scale. Il prospetto esterno del sepolcro, oltre alla policromia dei laterizi, spesso commissionata dalle famiglie facoltose durante l’età degli Antonini, prevedeva, in corrispondenza delle parti modanate, vivaci coloriture, in giallo, rosso e blu (di cui s’è trovata traccia in occasione di analisi eseguite nel 1998-1999).
Il piano rialzato dell’edificio era illuminato con un’ampia finestra ad arco, nel lato rivolto verso la via Latina, oggi ridotta a quella rettangolare contenuta nella tamponatura moderna. La tomba era circondata da un corridoio esterno protetto da un muro perimetrale, il cui scopo era di invitare i frequentatori sia al pian terreno sia a quello ipogeo. Quest’ultimo ospitava la camera sepolcrale, cinta a sua volta da un ulteriore corridoio, riutilizzato per numerose sepolture tanto sulle pareti quanto sul pavimento. Qui venne trovato un prezioso sarcofago marmoreo rappresentante Protesilao e Leodamia, nelle sequenze che legano la loro storia d’amore alla guerra di Troia. Il pezzo è esposto ai Musei Vaticani. Non si conservano né la scala, né il solaio che separavano i due piani soprelevati.
Il piano terra del sepolcro, in particolare, pavimentato a mosaico, prevedeva all’interno nicchie e pareti intonacate. Quello superiore, invece, è coperto con volta a crociera, interamente ornata con intonaco affrescato ed elementi in stucco: vi compaiono tra gli altri, su sfondo rosso con bande azzurre, gruppi di personaggi, vittorie alate su bighe, amorini e animali marini. La struttura, nel suo complesso, sembra risalire al II-III secolo d.C. Il sarcofago è dell’età degli Antonini. In seguito, il monumento venne riutilizzato come fienile – alla pari del Cenotafio di Annia Regilla – nel corso del XVIII secolo.
Sul lato sinistro della strada si distinguono i resti di una serie di sepolcri conservati fino alla base dell’elevato. Vi si trova, innanzitutto, il “Sepolcro Fortunati 25”, così denominato sulla base della numerazione riportata nella planimetria dell’archeologo dell’Ottocento. Il monumento è a pianta quadrangolare con camera funeraria sotterranea, raggiungibile un tempo dalla via Latina tramite due rampe di scale rivestite di marmo. La cella, conservata fino alla linea d’imposta delle finestre, ospita olle cinerarie. Le pareti, articolate in due registri, presentavano alla base lastre marmoree (si conservano impronte e fori per grappa) e in alto affreschi con uccelli ed elementi vegetali. L’ambiente era coperto con volta a crociera.
Sul lato destro della via, in corrispondenza di quello che doveva essere il punto di conclusione del suo III miglio, si staglia il maestoso Sepolcro dei Valerii, la cui denominazione si deve al ritrovamento, nei pressi, di un’iscrizione relativa a tale famiglia, che ciononostante non lascia certezze sui legittimi proprietari della costruzione.
Si tratta di un sepolcro “a tempietto”, del II secolo d.C., tra i più belli della Campagna Romana. Della muratura antica, tutta in laterizi, restano ampie tracce fino a un metro dal suolo, con avanzi di strutture in opera reticolata e laterizia. Sulla fronte, rivolto verso la strada, si apre l’ingresso del monumento, costituito da due colonne, delle quali solo quella in cipollino è originale.
Il monumento, tutt’intorno, era circondato da un muro perimetrale, formato da un prospetto in semicolonne ioniche di laterizi prospiciente la via. Una soluzione, quella dei recinti “scenografici”, che prese piede a Roma già a partire dalla tarda età augustea. Lo testimonia la soluzione a cinque intercolunni adottata nella Tomba dei Plautii di Ponte Lucano, presso Tivoli. Qui le iscrizioni funerarie erano apposte sul muro di recinzione, il che dà l’idea di una tendenza di conferire sempre più importanza al muro di cinta rispetto al sepolcro stesso, messo in secondo piano anche da un punto di vista architettonico.
Il Sepolcro dei Valerii, la cui iscrizione funeraria poteva dunque trovarsi affissa nel recinto, prevedeva due piani in elevato, destinati forse a celebrazioni rituali e rappresentanza dei proprietari, più un ambiente ipogeo relativo alle sepolture vere e proprie. Vi si accede da due rampe di scale, con mosaico a delfini. La camera sepolcrale, preceduta da un atrio, si articola in un ambiente più grande, utilizzato in un primo momento dalla famiglia fino al completamento degli spazi, e in uno minore che servì per le sepolture successive. Entrambi sono coperti con volta a botte.
Il più grande, in particolare, si distingue per l’elaborato apparato decorativo, che consta di una foderatura con marmi sulle pareti e di un ricco programma di rilievi in stucco, bianchi, sul soffitto. Nell’intradosso della volta, articolato in medaglioni e riquadri quadrangolari negli spazi di risulta, sono rappresentati menadi e satiri mentre danzano con pistrici e Nereidi. Al centro della volta, si distingue una figura femminile velata trasportata verso il cielo sul dorso di un grifone.
Dopo il Sepolcro dei Valerii, sullo stesso lato della strada si trova un altro monumento in laterizi, di cui resta solo la facciata a seguito di un crollo nel dopoguerra. È il “Sepolcro Baccelli”, anch’esso della tipologia “a tempietto”. La costruzione è realizzata in laterizi, con camera sepolcrale ipogea e due piani nel sopraterra, destinati a celebrazioni rituali e memoria della famiglia, o comunque dei titolari delle sepolture.
Il monumento, conservato nell’elevato fino al 1959 (esistono incisioni cinquecentesche di com’era, nonché fotografie più recenti), prende il nome dal Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, che s’interessò dell’area archeologica ai primi del Novecento. Una targa marmorea lo ricorda. Nelle due camere sepolcrali ipogee trovano spazio sepolture di una grande quantità di inumati, talché è lecito supporre che il monumento fosse gestito in modo cooperativo. L’uso così intensivo delle inumazioni e della relativa tecnica edilizia – loculi realizzati a parete – fa pensare a una fase di passaggio nell’architettura sepolcrale romana, che è prodromica rispetto al diffondersi delle grandi catacombe cristiane, che nel tempo sono precedute solo da quelle ebraiche.
Tra il Sepolcro dei Valerii e quello “Baccelli” è stato rinvenuto un complesso di edifici a varia destinazione, che si affacciava sulla via Latina. Spesse volte si pensa, quando si passeggia sui lunghi rettifili delle vie consolari, a realtà riservate meramente alle sepolture. È un pregiudizio, non è affatto così!
Si trattava probabilmente di una Mansio, vale a dire di una struttura destinata a consentire il riposo e la sosta dei viaggiatori. Due pilastri con statue delimitavano l’ingresso lungo la strada, una sorta di reception, mentre un pavimento a mosaico con condutture d’acqua, a destra del Sepolcro dei Valerii, stava ad indicare la presenza di un impianto termale. Sono stati rinvenuti, all’interno di tale struttura, anche una fontana al centro di un cortile porticato, un ninfeo all’estremità di un portico pavimentato a mosaico e due cisterne, una delle quali lunga 19 metri. In merito alla cronologia del complesso – di cui si avrà un quadro migliore solo grazie alle indagini in corso – sembrerebbe, attualmente, che gli ambienti siano stati frequentati fino al IV secolo d.C.
Dirimpetto all’entrata della Mansio si trova uno dei più suggestivi e ricchi sepolcri della Campagna Romana, la Tomba dei Pancratii, così chiamata sulla base di un’iscrizione conservata in situ all’interno. Tale monumento, allineato sul fianco sinistro della via Latina, in forza dei sontuosi stucchi nel piano inferiore, di cui si conserva intatta la policromia, costituisce uno dei tre fiori all’occhiello del suburbio Appio-Latino insieme all’Ipogeo di Trebio Giusto ed a quello di via Dino Compagni. Dell’elevato non si conserva nulla, ma si può ricondurre la sua tipologia ai sepolcri “a tempietto” già incontrati in precedenza. Una struttura muraria moderna oggi protegge gli ambienti ipogei destinati alle sepolture.
Grazie al recente riallestimento museale e alla preziosa opera di restauro, appena entrati si possono ammirare, nel piano terra, un pavimento a mosaico bianco e nero, con rappresentazione di delfini, e una serie di pregiati manufatti provenienti dallo stesso edificio e dall’area circostante. Attraverso la scala originaria si scende al piano inferiore, destinato alle sepolture. Splendida la seconda camera sepolcrale, che al momento della scoperta ospitava, in situ, tre sarcofagi scolpiti, successivamente spostati ai Musei Vaticani, nei quali erano rappresentate scene del mito di Ippolito e Fedra, oltre al trionfo di Bacco e Arianna.
Le vicende di Edipo erano invece il soggetto di un coperchio di sarcofago (forse un quarto), rinvenuto a lato. Oggi troneggia al centro della cella un enorme sarcofago in marmo bianco, bisomo, coperto con coperchio a doppio spiovente e acroteri laterali, che per le sue dimensioni mai avrebbe potuto essere stato collocato dopo la costruzione del monumento. I costruttori, probabilmente, prima provvidero a collocare il manufatto, poi a costruirgli intorno tutto il resto. La camera, a pianta grosso modo quadrangolare – passando agli aspetti architettonici – è coperta con una volta a crociera con archi ribassati. Volte e lunette sono per intero decorate con raffinatissimi ornati in stucco, alternati a quadri affrescati con colori freschi e vivaci.
Alle sue spalle, orientata N-S, è la grande Villa degli Anicii, dal nome dell’ultima famiglia che ne risultò proprietaria. Questa villa, a dire la verità, forse già a partire dall’età flavia fino al VI secolo d.C., probabilmente fino alle guerre greco-gotiche, conobbe diversi passaggi di proprietà.
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
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