“In questi giorni sono stato a Tivoli ed ho ammirato uno degli spettacoli naturali più superbi. La cascata colà con le rovine e con tutto l’insieme del paesaggio sono cose la cui conoscenza ci arricchisce nel più profondo dell’anima”
Con queste parole Goethe descrive Villa Gregoriana, ammirata durante il suo soggiorno a Tivoli, nel bel mezzo del suo Viaggio in Italia che è anche il titolo dell’opera omonima che racconta il suo viaggio tra il 1786 ed il 1788. Siamo nel pieno del Grand Tour e l‘Italia rappresenta la meta privilegiata di pellegrini, colti viaggiatori, scrittori, poeti o semplici pupilli dell’alta aristocrazia, provenienti da tutta Europa.
Si viene in Italia per completare la propria formazione. Per conoscere la cultura “degli antichi”, fulcro di quel percorso educativo che avrebbe formato i rampolli delle future classi dirigenti mitteleuropee. Per scoprire quei monumenti straordinari che da sempre tolgono il fiato ai visitatori di ogni epoca. Per mettersi sulle tracce degli antichi romani o più semplicemente per immergersi in quella campagna archetipo di un’‘arcadia che solo in Italia si poteva trovare ancora intatta.
Mito, Natura e Storia
Tutte queste esperienze sono legate da un fil rouge, la riscoperta dell’antico. La voglia di conoscere la cultura classica, conoscere e (molte volte) collezionare i resti di un’arte che proprio in quel periodo veniva celebrata dal Neoclassicismo come la sola arte che sia stata in grado di raggiungere la perfezione.
Questo viaggio intorno al Bel Paese, da sud a nord, si snodava intorno a tre concetti chiave nel dibattito culturale di quel periodo, quello che oscilla tra il Sublime e il Pittoresco, il Mito, la Natura e la Storia.
E non esiste luogo che più di tutti possa rappresentare il trait d’union di questi tre temi come Villa Gregoriana a Tivoli.
In nessun altro sito infatti la Natura ed il Mito convivono da secoli. Solo qui si potevano trovare quei luoghi popolati da presenze magiche e soprannaturali, connesse con la natura in una maniera talmente profonda da risultare inscindibili con essa.
Erano il bosco sacro e le acque irose del fiume Aniene con le sue celeberrime cascate a fornire l’habitat naturale per i grandi protagonisti del mito o erano le loro presenze che conferivano a quei luoghi un aspetto così suggestivo?
Tra la vegetazione lussureggiante e le grotte scavate dall’acqua era possibile imbattersi nella Sibilla Tiburtina, la sacerdotessa in grado di vaticinare il futuro, al cui culto fin da tempo immemore era dedicata buona parte dell’Acropoli.
Ma all’interno del bosco era possibile imbattersi anche nello spettro del re etrusco Anio, annegato nel fiume (che da lui porta il suo nome Aniene) mentre cercava di salvare sua figlia rapita da Catillo, o dal dio Mercurio, a seconda delle versioni del mito.
Era qui che i due eroi greci Tiburto e Catillo erano approdati per fondare la città di Tivoli.
In questo luogo, il Mito trovava la sua naturale collocazione accanto alla Storia, quella della città di Tivoli che aveva edificato la sua acropoli a picco sulla vallata e che proprio lungo quella vallata si era sviluppata. L’area della Villa fin dall’antichità era caratterizzata dal passaggio del fiume Aniene che all’altezza dell’acropoli di Tivoli si tuffava nella vallata perpendicolarmente alla cosiddetta Grotta di Nettuno, fino a formare un piccolo laghetto, il Pelago. L’acqua che nei secoli aveva scavato le asperità della roccia, quasi tutto tufo calcareo, aveva creato una gola dall’aspetto misterioso e suggestivo dove la natura cresceva lussureggiante ed incontaminata.
La villa di Manilio Vopisco
Fu proprio la bellezza ed il fascino di questo luogo straordinario ad attrarre a tal punto Manilio Vopisco, che decise che vi avrebbe edificato la sua lussuosa dimora.
Come scrive, nel 92 d.C., il poeta Stazio nella sua opera più famosa Le Silvae:
“La natura in nessuna parte è stata mai più prodiga verso se stessa”
Il poeta nella sua opera si prolunga in grandi descrizioni della villa dal tono celebrativo. Ci racconta dell’abbondanza e della ricchezza dei marmi, delle statue e si sofferma su un particolare interessante con il tempo diventato molto celebre. Le costruzioni della villa occupavano entrambe le rive opposte dell’Aniene in un punto in cui esse erano così vicine che gli ospiti che soggiornavano nelle due strutture potevano stringersi la mano.
Probabilmente qui Stazio fa riferimento a due ali della villa, una invernale ed una estiva, che si affacciavano su un piccolo canale scoperto, la Stipa, e non sul letto del fiume vero e proprio, il quale già all’epoca non scorreva placido e tranquillo tanto da poterci edificare una villa sopra.
Ancora non sappiamo per quanti chilometri si estendesse la villa di Vopisco ma è lecito pensare che occupasse più o meno l’intera area dell’attuale Villa Gregoriana.
La Sibilla Tiburtina e la realizzazione dell’acropoli di Tivoli
Vopisco non era stato l’unico ad approfittare di questa straordinaria scenografia, infatti un secolo prima, a ridosso della vallata, quasi a picco sulla rupe prospiciente l’attuale Grande Cascata erano stati edificati i due templi dell’acropoli di Tivoli. Uno di forma rettangolare, ionico, prostilo, tetrastilo, pseudoperiptero. L’altro circolare, corinzio, periptero.
Convenzionalmente attribuiti alla Sibilla quello circolare e a Vesta (o all’eroe fondatore della città Tiburno) il rettangolare.
I Romani avevano costruito l’Acropoli in una zona non proprio felice da un punto di vista edilizio, ma grazie alla loro rinomata maestria, tramite dei terrazzamenti, erano riusciti a rendere le basi dei templi solide.
Il luogo si trovava proprio sopra il salto dell’antica cascata. I rumori provenienti dalle grotte in fondo, non lasciavano dubbi che quello fosse l’habitat della Sibilla e solo lì poteva nascere il sito del culto a lei dedicato, sopra il bosco, le cascate e le grotte a lei care. La verticalità del luogo era stata accentuata per favorire un gioco di visioni e visuali. L’asperità del sito era stata vinta.
È qui che per la prima volta Mito, Natura, e Artificio si sono intrecciate in maniera indissolubile.
Per seguire il mito, la natura era stata imbrigliata per esigenze architettoniche che permettessero ai templi di coesistere con tutto l’ecosistema intorno.
Del resto nella storia di Villa Gregoriana l’artificio è sempre stato fondamentale.
L’aspetto attuale della Villa è molto diverso da come doveva apparire all’epoca romana. Ed anche in questo caso il luogo venne mutato in maniera “artificiale” per l’esigenza di allontanare l’Aniene dal centro abitato, e porre fine ai continui e talvolta violenti allagamenti.
La nascita di Villa Gregoriana
La Villa attuale, così come la possiamo ammirare oggi, nasce nel 1826 per volere di Papa Gregorio XVI (da qui il nome Gregoriana). Proprio in quell’anno infatti una disastrosa piena aveva rotto la chiusa preesistente risalente al 1489 travolgendo tutti i quartieri di Tivoli lungo il fiume.
Stufo dei continui straripamenti, Gregorio XVI decise che bisognava agire in maniera radicale.
Indisse una gara per la realizzazione di un progetto che potesse risolvere il problema una volta per tutte. Moltissimi ingegneri ed architetti parteciparono, stuzzicati da quell’occasione irripetibile. Alla fine tra le ventitré proposte fu scelta quella più innovativa, quella di Clemente Folchi.
Mentre tutti gli altri infatti avevano proposto dei progetti per la realizzazione di dighe o muraglioni, l’architetto romano intendeva deviare il corso del fiume allontanandolo per sempre dalle zone abitate.
I lavori iniziarono nel luglio del 1832, ed in soli due anni vennero scavati due cunicoli paralleli di 280 m. di lunghezza, in grado di convogliare le acque dell’Aniene facendo sprizzare dalla roccia l’attuale Grande Cascata, la seconda più alta d’Italia dopo quella delle Marmore.
In seguito a questo intervento strutturale il Papa volle risistemare anche i quartieri più colpiti dalle inondazioni, creando due piazze. La suggestiva Piazza Rivarola (dal nome del cardinale sovraintendente ai lavori) e Piazza Massimo (dal nome del monsignore che si occupò della risistemazione del Parco) unite tramite un bellissimo e solido ponte, Ponte Gregoriano (l’attuale è un perfetto rifacimento dell’originale distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale).
Infine il Papà volle creare un parco pubblico intorno alla nuova cascata e ne affidò la realizzazione a Monsignor Massimo che aprì vialetti, predispose terrazze panoramiche e piantò una serie di arbusti sempre verdi lungo i percorsi (alloro, glicini etc.).
Il 7 ottobre 1835 Gregorio XVI venne a Tivoli per inaugurare il parco. Era nata Villa Gregoriana. Un parco dal sapore romantico che prevedeva una sorta di passeggiata escursionistica tra viottoli, cunicoli, gallerie e terrazze dal panorama mozzafiato! Ma anche una passeggiata archeologica tra i resti e le rovine della stupenda villa di Manilio Vopisco, secondo il gusto rovinista dell’epoca.
La Villa dopo essere caduta in uno stato di profondo abbandono iniziato all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, dal 2002 è stata affidata al FAI, che dopo importanti lavori l’ha riportata al suo splendore originale.
Oggi passeggiando lungo i suoi viali, osservando le sue cascate, è ancora possibile immergersi in quell’atmosfera mitologica che ha permeato il luogo fin dall’antichità. E che gli stessi lavori del Papa hanno contribuito a ricreare, restituendo alla Sibilla la sua Villa sospesa ancora tra Natura, Mito e Artificio.
Per informazioni sulla visita guidata vai al sito di Yes Art Italy
Leggi anche il Razionalismo dell’EUR